estrazione e quotazione del petrolio
Estrazione del petrolio
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Quando circa un anno e mezzo fa l’Arabia Saudita, all’interno dell’organizzazione Opec, decise di far crollare la quotazione del petrolio (forse) non si aspettava questo minimo.

Nel momento in cui scriviamo il prezzo del Greggio è a 33,62 $, in risalita dal minimo toccato qualche giorno fa a 26,25 $.

Iniziamo subito con un grafico:

Quotazione petrolio ultimi 12 mesi
La quotazione del petrolio negli ultimi 12 mesi

Come si può notare, il crollo di inizio anno ha rotto anche una resistenza presente a quota 32,5 $, aprendo la botola per un nuovo eventuale crollo.

Il minimo toccato a quota 26,25 $ è la base per nuovi calcoli e nuove tendenze.

L’aumento degli ultimi 15 giorni pare un puro rimbalzo tecnico, pronto a toccare un doppio minimo, quindi per febbraio, guardando soltanto i grafici, non ci si può che aspettare un nuovo calo che vada sotto i 28$.

Se ci fermassimo qui il target price sarebbe quello appena accennato e l’analisi sarebbe conclusa. Però, nei giorni scorsi, sia all’interno dell’Opec che all’esterno dell’organizzazione mondiale, qualcosa si sta muovendo.

Petrolio russo

La Russia, al momento l’attore più grande che sta subendo più danni collaterali dal crollo del prezzo del petrolio, ha aperto nella direzione di un taglio della produzione del 5%. Mosca, al momento fuori dall’Opec, sarebbe pronto a coordinarsi con l’organizzazione che fa cartello per una strategia di medio/lungo periodo che faccia riprendere quota al prezzo.

Ci ha pensato subito l’Opec ha smentire qualsiasi tipo di collaborazione attualmente in essere; notizia che ha fatto subito ridimensionare la quotazione dell’oro nero.

Però nel calderone qualcosa si muove e questi son segnali distensivi per una collaborazione possibile. La stessa Opec nei giorni precedenti all’annuncio della Russia aveva invitato tutti i produttori a collaborare; anche perché l’Arabia, maggiore produttore nel cartello, inizia ad avere problemi economici non indifferenti e politicamente è complesso per re Salman spiegare ai sudditi il perché di nuove tasse (o meglio, di mancanza di sgravi fiscali) introdotte solo per “guerre” politiche.

Ingresso dell’Iran sul mercato

Ma se da un lato forse la Russia e l’Arabia sono arrivati al punto di iniziare a “sentire l’odore del sangue”, comunque c’è chi di tagliare la produzione non ci pensa proprio, anzi, vuole aumentarla e anche velocemente. Si tratta dell’Iran di Hassan Rouhani, il quale, dopo l’accordo sul nucleare raggiunto con gli USA e la conseguente eliminazione dei divieti di mercato con l’estero, vuole tornare a vendere il proprio petrolio in larga scala. E il viaggio del presidente iraniano in Italia e Francia ne è la riprova, con accordi firmati con ENI, Saipem e Total.

Ciò porta sul mercato qualcosa che gli analisti hanno quantificato in 200 mila barili al giorno nel breve periodo e 500 mila barili nel lungo periodo.

Nel momento in cui questo nuovo fiume di greggio inonderà il mercato a poco servirà il taglio di qualche produttore. Ecco perché diventa sempre più necessario un accordo comune che porti al taglio della produzione sia per i Paesi Opec che per quelli non facenti parte del cartello.

I rapporti tra Iran e Arabia Saudita

La situazione però è molto complessa, poiché l’Iran, che sta per tornare sul mercato, e l’Arabia Saudita sono acerrimi nemici, sia per la rivalità antica sulla vendita del petrolio stesso che per motivi religiosi. L’Iran infatti è per il 90% abitata da sciiti, mentre l’Arabia Saudita ha una presenza dell’85% di sunniti, e tredici secoli di guerre tra le due visioni dell’Islam certamente non finiranno oggi per qualche barile di petrolio.

La situazione in medio oriente, insomma, già di suo è una bella polveriera.

Il petrolio degli Stati Uniti d’America

Iran, Russia e Arabia, però, sono solo 3 dei 4 maggiori produttori di petrolio. La voce mancante (in realtà non è così) è quella degli Stati Uniti d’America, la quale, soprattutto grazie allo Shale Oil, ha aumentato di molto la propria produzione negli ultimi anni.

Storicamente USA e Arabia Saudita non si calpestano i piedi a vicenda, nell’ultimo anno e mezzo invece sembra che qualcosa non abbia funzionato alla perfezione. Infatti il crollo dei prezzi dettato dall’Opec ha danneggiato anche le compagnie USA di estrazione di Shale Oil. Infatti il governo Obama ha spinto negli anni passati per avere nuove produzioni di questo genere e con ingenti investimenti realizzati il costo delle rate che oggi le banche fanno avere alle compagnie pesano tanto

Tante aziende di Shale Oil non ce l’hanno fatta e hanno chiuso battenti; ma se da un lato gli Stati Uniti, con il prezzo del barile così basso, hanno degli scompensi, dall’altra, proprio grazie alla pressione esercitata dall’oro nero, riescono ad avvantaggiarsi su produttori molto vicini: non è un mistero che il Venezuela produce il petrolio a prezzi decisamente più alti rispetto agli attuali; quindi, piuttosto che produrre in perdita i sudamericani stanno preferendo tenere al minimo le vendite e tenere nel sottosuolo il greggio attendendo periodi migliori (peccato che la produzione del Venezuela cambia poco il destino del mondo).

Il petrolio e il dollaro

Inoltre, essendo la maggior parte della vendita del petrolio in dollari, il prezzo basso, in questo momento, diminuisce la pressione al rialzo del biglietto verde. Se in questo momento servissero 100 dollari per un barile di petrolio, certamente ci sarebbe molta più richiesta di dollari e questo alzerebbe il valore della moneta americana, che, in una fase di guerra monetaria, sarebbe un bel problema. Infatti, se ci fosse un pressione al rialzo del dollaro, soprattutto sul cross con l’euro, l’esportazione americana diventerebbe meno conveniente e quindi la produzione industriale a stelle e strisce avrebbe qualche noia, con ricaduta sui lavoratori e ciò aumenterebbe il tasso di disoccupazione.

Insomma, agli USA questo prezzo basso crea qualche problema ma ne risolve altri, quindi la tendenza è quella di lasciar fare agli altri poiché in qualsiasi situazione, la nazione guidata da Obama, avrebbe dei vantaggi.

La quotazione del petrolio nel 2016

Dopo aver fatto un excursus sui maggiori produttori, non ci rimane che cercare di ipotizzare il target price a medio e lungo periodo.

Guardando il grafico presente in pagina si capisce come, a meno di notizie dirompenti, la tendenza è ben impostata per ulteriore discesa. Nel brevissimo periodo, quindi, pensiamo che la quotazione del petrolio non potrà che scendere ancora, probabilmente andando ad aggiornare il minimo già realizzato.

Per febbraio 2016 crediamo che il prezzo dell’oro nero, sul mercato americano, ballerà nella fascia 22 / 32 $.

Nel momento in cui si inizierà a discutere di un taglio della produzione, che probabilmente avverrà tra aprile e giugno, il prezzo riprenderà quota. Molto probabile un rimbalzo fino a 50 / 60 $.

Attenzione però, poiché la produzione in abbondanza dell’ultimo anno ha fatto riempire i siti di stoccaggio, che oggi strasbordano di petrolio acquistato a prezzi bassi. Quindi un eventuale taglio della produzione metterebbe in gioco anche questo petrolio che deve essere rivenduto.

Per questo motivo, dopo una fiammata iniziale, molto probabilmente la seconda parte del 2016 si giocherà a prezzi più contenuti, probabilmente in un range tra 45 e 55 $ al barile.

Solo nel 2017 ci potrebbe essere una ripresa sostenuta del prezzo, in modo che finalmente possa superare i 60$.

In definitiva, noi consigliamo di aprire posizioni long da marzo in poi con prezzo minore di 28$. Consigliamo anche di approfittare e sovrappesare se il prezzo dovesse scendere sotto i 25$.

La nostra stima:

  • febbraio / maggio: 22 – 35$
  • giugno / agosto: 40 – 60 $
  • settembre / dicembre: 45 – 55$
  • 2017: 50 – 70 $

Una cosa è certa: finché il petrolio sarà così basso, il prezzo della benzina alla pompa, benché non segua pedissequamente il valore, ci farà risparmiare qualche euro. Ma ciò diminuisce l’inflazione nella Comunità Europea e spinge Draghi a intervenire, facendo comunque diminuire il cross con il dollaro.