Split di Autostrade da Atlantia
Atlantia potrebbe distribuire il 100% della propria partecipazione in Autostrade
  • Categoria dell'articolo:Trading
  • Tempo di lettura:4 minuti di lettura

Ne abbiamo parlato già più volte, stiamo parlando dell’infinita trattativa tra Cassa depositi e prestiti e Atlantia per la cessione di Autostrade per l’Italia.

Negli ultimi mesi sembrava tutto avviato verso una soluzione, che poteva essere la cessione alla cordata formata da CDP-Blackstone-Macquarie oppure lo scorporo di una parte delle quote possedute da Atlantia con relativa quotazione, e cessione delle quote rimanenti a Cassa Depositi e Prestiti.

Entrambe le soluzioni avrebbero portato la famiglia Benetton fuori dalla gestione delle autostrade italiane, come voluto dal M5S, anima dei due governi Conte.

Peccato che l’offerta di Cassa Depositi e Prestiti per il 100% di Autostrade sia stata considerata troppo bassa più volte e distante dalla valutazione di Autostrade fatta da istituti differenti, chiamati proprio dalla stessa Autostrade a valutare la società.

Valutazione indipendente sempre superiore ai 9,1 miliardi offerti da CDP (meno 1,5 miliardi di rischi legali) e con una base di almeno 10,5 miliardi, già al netto dei rischi per i rimborsi dovuti ai fatti di Genova di agosto 2018.

Allora perché pare che l’ipotesi dual track, con lo scorporo da Atlantia stia per fallire e rimanere in essere solo la trattativa con CDP?

Si vocifera di un miglioramento dell’offerta che presto sarà recapitato all’attenzione di Autostrade, con la base sempre di 9,1 miliardi ma con l’aggiunta di 400 milioni per i ristori Covid (quindi 9,5 miliardi cash) meno 500 milioni per rischi legali per i fatti di Genova (quindi con uno sconto di un miliardo) per un pagamento totale di 9 miliardi per avere il 100% di Autostrade. Ma ciò basterà? Ciò basta? Detto che l’offerta veramente non è arrivata nei tempi e oggi si tiene l’assemblea degli azionisti che dovrà decidere sul dual track.

L’ipotesi di offerta pare veramente bassa, soprattutto in virtù della valorizzazione da 14,8 miliardi fatta solo in luglio del 2017, quando fu venduto l’11,94% ad Allianz e Silk Road, oppure della valorizzazione nella forchetta tra 10,5 e 12 miliardi fatta da vari analisti negli ultimi mesi.

Eppure la famiglia Benetton, seguita da qualche fondazione, pare pronta ad accettare l’offerta pur di chiedere questa triste vicenda.

Umanamente lo comprendiamo, poiché il veleno sputato sulla famiglia Benetton negli ultimi 3 anni, da varie fonti, avrebbe steso qualsiasi imprenditore e qualsiasi essere vivente. Inoltre il mancato incasso sta danneggiando l’economia della casa madre, che potrebbe veicolare quel denaro su altre destinazioni più remunerative.

Però la volontà di Edizione, cassaforte dei Benetton, non può essere espressione del 100% degli investitori di Atlantia. Ciò è ben rappresentato dal fondo TCI che, con il senno di poi, bene ha fatto a salire fino al 10% di Atlantia per contare di più in assemblea dei soci. Ecco, proprio questo fondo sta diventando il miglior alleato dei piccoli azionisti, poiché non vuole spostare la propria valorizzazione dell’asset da almeno 11 miliardi ed è deciso a non accettare un euro di meno.

E allora ci facciamo una domanda decisamente più semplice, che consentirebbe a tutti di uscirne meglio: perché non scorporare il 100% delle quote in mano ad Atlantia, con relativa assegnazione ai soci di quest’ultima? A quel punto per Edizione sarebbe più semplice vendere la propria quota ed uscire dall’asset e allo stesso tempo tutti gli azionisti sarebbero tutelati, ognuno decidendo cosa è meglio per sé. Lo Stato potrebbe subentrare nel capitale attraverso l’acquisto delle quote di Edizione stessa.

Certo, questo non risolverebbe il problema debito di Atlantia, perché dallo scorporo la casa madre non avrebbe nessun recupero, ma nessuno impedisce di fare un aumento di capitale immediatamente dopo e gli azionisti, che avranno venduto le quote di Autostrada, sono liberissimi di parteciparvi per aumentare la liquidità dell’azienda.