La matassa delle concessioni autostradali
La matassa delle concessioni autostradali

Quella tra Atlantia, la società controllata dalla famiglia Benetton, Autostrade per l’Italia e il governo italiano è una storia semplice fino ad agosto del 2018.

Il 14 agosto 2018, a causa del crollo parziale del Ponte Morandi a Genova, cambia tutto e la storia si complica non poco.

Una battaglia di lettere e note, con cda e gabinetti di governo si susseguono nei due anni a venire, con minacce e aperture degne di una partita di scacchi.

Fino alla scelta, datata metà luglio 2020, di estromettere la famiglia Benetton dalla gestione autostradale, con IPO di Aspi e compensazione alla buonauscita.

Fine che in realtà si trascinerà nei mesi successivi, con nuovi colpi di scena.

Ma andiamo con ordine e capiamo quali sono i pezzi del puzzle.

Chi è Atlantia?

Atlantia è un gruppo, leader globale nella gestione di reti autostradali e aeroportuali, con una presenza in circa 24 Paesi differenti.

Si tratta di una holding che gestisce circa 15 mila km di rete autostradale, oltre agli aeroporti romani (Fiumicino e Ciampino) e tre aeroporti in Francia (Nizza, Cannes-Mandelieu e Saint Tropez).

Le reti autostradali di Atlantia non sono solo italiane, ha infatti attività in Spagna, attraverso Abertis (Atlantia è socio di maggioranza ed copartecipata con Grupo ACS) attraverso la quale gestisce autostrade in Spagna, Francia, Colombia, Argentina, Brasile, Portogallo, Cile, India e Porto Rico.

Grazie ad Abertis gestisce anche attività in Marocco e Andorra.

Attraverso TBI Plc la cua proprietà è di Abertis, Atlantia ha diritti minori anche sugli aeroporti:

  • Aeroporto di Stoccolma in Svezia
  • Belfast International Airport, nell’Irlanda del Nord
  • Luton Airport a Londra
  • Orlando Sanford International Airport negli Stati Uniti d’America

Infine, sempre attraverso TBI gestisce alcuni servizi minori in decine di altri aeroporti in giro per il mondo.

A sua volta gli azionisti di Atlantia sono:

  • Sintonia (Edizione, della famiglia Benetton): 30,25%
  • GIC PTE LTD: 8,29%
  • Lazar Asset Management: 5,05%
  • HSBC: 5,01%
  • Fondazione Cassa di Risparmio di Torino: 4,85%
  • Flottante: 45,61%, così suddiviso:
    • 23,5% USA
    • 21,9% non identificabile
    • 19,6% UK
    • 11,9% resto d’Europa
    • 7,3% Italia
    • 6,7 Australia
    • 5,4% resto del Mondo
    • 3,7% Francia

Insomma si tratta di un’azienda veramente globale, con proprietari in arrivo da tutto il globo e non potrebbe che essere così vedendo la lista delle nazioni in cui Atlantia ha attività.

In definitiva, chiudendo il capitolo su Atlantia, possiamo affermare che si tratta di una delle più grandi e più frammentata azienda in Italia. Una vera e propria public Company.

Autostrade per l’Italia

Chiuso il capitolo di Atlantia apriamo quello di Autostrade per l’Italia, società con sede a Roma che gestisce la maggior parte della rete autostradale italiana.

Nata sotto il cappello dell’IRI (partecipazioni statali), viene privatizzata nel 1999; la sua storia inizia negli anni ’50 ma non andiamo così indietro. Ci basta sapere che fino al 1999 era dello Stato e che dal 2003 è controllata da Atlantia. Nel dettaglio, gli azionisti sono i seguenti:

  • Atlantia: 88,06%
  • Appia Investments Srl: 6,94%
  • Silk Road Fund: 5%

Abbiamo già visto il profilo di Atlantia, mentre Appia Investments è una società joint venture con il grosso del capitale in mano ad Allianz.

Silk Road Fund invece è un fondo in mano a proprietari cinesi.

Autostrade per l’Italia gestisce direttamente circa 2855 km di rete autostradale e indirettamente ha altre partecipazioni in società minori che a loro volta gestiscono autostrade.

Ponte Morandi

Come detto questa storia si complica con il crollo di una parte del Ponte Morandi quindi un minimo di presentazione e di storia su questa viadotto è lecita.

Il ponte autostradale sul torrente Polcevera, a Genova, fu costruito tra il 1963 e il 1967, progettato dall’ingegnere Riccardo Morandi.

Questo tratto di strada costituisce la parte finale (o iniziale) dell’autostrada A10 (autostrada dei Fiori) che collega Ventimiglia (quindi la Francia) e Genova.

Il crollo di parte di questo ponte, datato 14 agosto 2018, ha costato la vita a 43 persone e ha provocato oltre 500 sfollati.

Criticità del Ponte Morandi

Già in fase di costruzione, durante gli anni ’60, ci furono enormi problemi con questo ponte, tant’è che il costo lievitò sensibilmente rispetto a quanto inizialmente previsto.

A distanza di pochi anni il Ponte Morandi iniziò a mostrare problemi strutturali e di precoce invecchiamento, mostrando un rapido degrado dei materiali da costruzione.

Lo stesso Morandi a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 segnalò come la brezza marina e l’effetto delle vicine acciaierie Cornigliano stessero creando un serio problema agli elementi metallici.

Nel 2006 l’architetto spagnolo Santiago Calatrava, già autore di un ponte a Reggio Emilia, si candidò a rifare la struttura. Ci furono vari interventi di manutenzione e vari allarmi ma mai si decise di rifare il ponte, il quale fu manutenuto fino al crollo.

Nuovo Ponte sul Polcevera

Al posto del Ponte Morandi, definitivamente abbattuto nell’agosto del 2019, sorge ora il cosiddetto Ponte per Genova, progettato da Renzo Piano, costruito da WeBuild (ex Salini Impregilo) e che verrà inaugurato nel 2020.

Mentre sul ponte erano in corso battaglie per capire chi dovesse gestirlo, se ancora Autostrade per l’Italia, la regione Liguria che ha supervisionato i lavori, oppure Anas, il braccio armato dello Stato, l’8 luglio del 2020 Milano Finanza fa una rivelazione che cambia il destino del tratto autostradale: lo Stato, attraverso una nota inviata al commissario speciale, il sindaco di Genova Marco Bucci, indica che a partire dall’1 agosto la concessione del ponte andrà alla società che gestirà le autostrade. Quindi, dal 3 agosto, data di inaugurazione del nuovo Ponte Genova San Giorgio, è Aspi che si occupa della gestione del nuovo Ponte.

Aspi esclusa dalla costruzione del nuovo ponte

Nel mentre Aspi era stata esclusa dalle decisioni sulla costruzione e obbligata al pagamento dello stesso con il cosiddetto decreto Genova; decreto che è stato impugnato e per il quale, a distanza di quasi 2 anni, è arrivata una decisione da parte della Corte Costituzionale, chiamata in ballo dal TAR della Liguria, al quale Aspi si è rivolta.

Decisione molto attesa poiché è la prima volta che a livello giudiziale c’è stato un proclamo ufficiale che potrebbe instradare tutta la battaglia futura sulla concessione stessa.

Infatti il TAR, rimandando alla Corte Costituzionale la patata bollente, ha sottolineato come sulla decisione ci sono legittimità costituzionali, soprattutto per il fatto che la decisione è stata presa per decreto senza aspettare un pronunciamento giudiziale, di fatto incolpando Autostrade per l’Italia senza che fosse nemmeno chiaro ancora cosa fosse accaduto.

Appariva evidente come, in caso di pronunciamento a favore di Autostrade e contro il governo, la Corte Costituzionale avrebbe dato un’indirizzo molto chiaro e avrebbe permesso ad Atlantia di alzare il tiro. Invece, al contrario, in caso di conferma della legittimità costituzionale per le decisioni nel decreto Genova Atlantia e Autostrade sarebbero molto più in difficoltà.

Decisione che arriva la sera dell’8 luglio 2020 e con la quale la Corte Costituzionale conferma la legittimità del decreto Genova.

Questo il comunicato stampa della Corte, che anticipa la sentenza, la quale verrà depositata nei giorni a venire:

La Corte costituzionale ha esaminato nell’odierna camera di consiglio le questioni sollevate dal Tar della Liguria riguardanti numerose disposizioni del Decreto legge n. 109 del 2018 (decreto Genova) emanato dopo il crollo del Ponte Morandi. Il Decreto ha affidato a un commissario straordinario le attività volte alla demolizione integrale e alla ricostruzione del Ponte nonché all’espropriazione delle aree a ciò necessarie. Inoltre, è stato demandato al commissario di individuare le imprese affidatarie, precludendogli di rivolgersi alla concessionaria Autostrade Spa (Autostrade per l’Italia – Aspi) e alle società da essa controllate o con essa collegate. Infine, il Decreto impugnato ha obbligato Aspi a far fronte ai costi della ricostruzione e degli espropri. 

In attesa del deposito della sentenza, l’Ufficio stampa fa sapere che la Corte ha ritenuto non fondate le questioni relative all’esclusione legislativa di Aspi dalla procedura negoziata volta alla scelta delle imprese alle quali affidare le opere di demolizione e di ricostruzione. La decisione del Legislatore di non affidare ad Autostrade la ricostruzione del Ponte è stata determinata dalla eccezionale gravità della situazione che lo ha indotto, in via precauzionale, a non affidare i lavori alla società incaricata della manutenzione del Ponte stesso. La Corte ha poi dichiarato inammissibili le questioni sull’analoga esclusione delle imprese collegate ad Aspi e quelle concernenti l’obbligo della concessionaria di far fronte alle spese di ricostruzione del Ponte e di esproprio delle aree interessate

Comunicato stampa Corte Costituzionale sulla legittimità del decreto Genova

Revoca concessione autostradale ad Autostrada per l’Italia

Nell’immediato post-crollo il Movimento 5 Stelle, partito di maggioranza in quel momento, iniziò una battaglia per la revoca della concessione autostradale ad Autostrade per l’Italia.

In quel momento sembrava prematuro parlare di revoche e soprattutto c’era un contratto che prevedeva delle clausole molto costose per la revoca unilaterale dello stesso. Quindi sembravano parole più pronunciate come campagna elettorale che altro.

Eppure il tamtam è continuato, così come la caparbietà del governo, anche nonostante il cambio del secondo partito sostenitore dell’esecutivo (nel momento del crollo c’era il Conte I con la Lega a fare da stampella – governo gialloverde; nel 2019 la Lega ha sfiduciato il governo che ha trovato nel Partito Democratico una nuova stampella per proseguire con il Conte II – governo giallorosso -, ovviamente il M5S è sempre stato il partito principale di governo).

Le clausole per la revoca del contratto ad Autostrade per l’Italia

Il contratto che lega Autostrade per l’Italia e lo Stato italiano era in scadenza nel 2008, l’allora governo Prodi, analizzando qualche pecca nella mancata manutenzione delle autostrade, autorizza con decreto legge (8 aprile 2008, n. 59) l’allungamento del periodo ma lo lega alla reale manutenzione delle autostrade.

Autorizzazione arrivata su decreto legge perché si sta andando incontro a elezioni, quindi c’è l’urgenza di dare continuità alla gestione ma non si vogliono togliere poteri al parlamento.

A metà aprile si va a votazioni e vince il governo Berlusconi (insediatosi a inizio maggio), con la stampella della Lega Nord.

Il 29 maggio del 2008 c’è da convertire in legge il decreto firmato da Prodi e in parlamento, tra un emendamento e un altro, scompaiono le clausole di manutenzione e appare l’articolo che sarà ribattezzato “Salva-Benetton” (articolo 8-duodecies).

Il decreto diventa legge proprio grazie al voto di Salvini e della Lega, mentre tutto il PD, che aveva creato il decreto, vota contro a causa delle modifiche apportate che snaturano il lavoro fatto in precedenza.

Sempre grazie agli emendamenti approvati viene meno la possibilità per lo Stato di cancellare la concessione qualora la società non avesse realmente realizzato verifiche e manutenzioni.

Il contratto viene firmato per 30 anni, con scadenza 2038, e viene approvato con un articolo (art. 9) per cui, anche in caso di gravi inadempienze, la concessione può essere cancellata solo versando tutti gli utili che Autostrade avrebbe guadagnato fino a scadenza del contratto.

Facendo un calcolo nel 2019 appare evidente che in caso di revoca del contratto lo Stato italiano è costretto a pagare penali ben oltre i 20 miliardi di euro. Insostenibili per lo Stato italiano già gravato da debiti e da altre spese.

Le lettere tra Governo e Autostrade

Durante tutto il 2019 sono all’opera le rispettive diplomazie e vengono scambiate continuamente delle lettere nelle quali si cerca di conciliare e allo stesso tempo si minacciano cause o revoche.

Tutte queste lettere portano a ben poco e il governo fa la mossa definitiva a fine del 2019.

Milleproroghe revoca concessioni Autostrade

Il milleproroghe di fine 2019 inserisce tra le altre cose la cancellazione delle penali in caso di revoca delle concessioni autostradali.

In pratica, per legge, si modifica unilaterlamente un contratto firmato in precedenza e si afferma che in caso di revoca, da effettuare per gravi colpe, Anas prende in carico immediato la concessione e traghetta la rete fino a portarla a nuovo concessionario.

Autostrade chiede lo stralcio di tali passaggi dal milleproroghe ma ciò non avviene e diventa legge il 20 febbraio 2020 con l’approvazione in Camera dei deputati.

La data ultima per fare una contromossa era il 30 giugno, entro quel giorno Aspi avrebbe dovuto revocare il contratto per modifiche unilaterali da parte del governo e, senza un’intesa, sembrava certo che Aspi avrebbe chiesto la risoluzione e avrebbe aperto una causa legale che ci avrebbe accompagnato per anni.

Usiamo il condizionale poiché a fine giugno Atlantia ha fatto un’importante apertura che descriveremo tra qualche capitolo.

Le aperture di Aspi per mantenere la concessione

Nelle lettere scambiate prima di giugno ovviamente anche Aspi ha fatto delle aperture per evitare di perdere la concessione e arrivare a un accordo vincente per tutti.

Nel dettaglio, la controllata di Atlantia ha messo sul piatto via via sempre maggiori concessioni al Governo, ultima proposta contiene:

  • 1,5 miliardi di euro di iniziative per diminuire il pedaggio autostradale e per la manutenzione straordinaria
  • 600 milioni di euro per il pagamento completo del nuovo ponte sul Polcevera
  • 700 milioni ulteriori rispetto a quanto previsto nel 2018 per la manutenzione ordinaria

Varie aperture sono state fatte anche da parte della capogruppo Atlantia, che ha allontanato i manager a capo della società (come Giovanni Castellucci, AD di Atlantia nel 2018) quando è successo il malfatto.

Entrata nel capitale di Aspi

Tra le varie ipotesi formulate o messe sul banco delle proposte ce ne sono anche alcune su cui si è lavorato o si continua a lavorare.

La principale proposta è quella dell’allontanamento della famiglia Benetton, dalla concessione di Autostrade, con l’ingresso nel capitale di Autostrade per l’Italia di F2i e di Cassa Depositi e Prestiti.

In questa visione F2i e CDP dovrebbero arrivare almeno al 50%+1 azione di Aspi così da poter controllare la società che gestisce le autostrade, senza arrivare alla revoca forzata.

Non si capisce bene a che prezzi questi soggetti entreranno nell’azionariato di Aspi e cosa ne sarà dei soci minori della società di gestione autostradale.

Nei mesi passati si è anche parlato di un possibile ingresso da parte di Allianz nel capitale di Aspi, ipotesi comunque smentita.

Chi è F2i?

F2i è una società di gestione di risparmio, voluta da Cassa Depositi e Prestiti nel 2007 e partecipata oggi dalle principali società finanziarie italiane (casse di risparmio, banche e assicurazioni).

Tra gli azionisti di F2i troviamo:

  • Intesa Sanpaolo
  • Unicredit
  • Cassa Depositi e Prestiti
  • CIC – China Investment Corporation
  • NPS – National Pension Service
  • Ardian
  • Inarcassa (Cassa nazionale di previdenza e assistenza per gli ingegneri e architetti liberi professionisti)
  • CIPAG (Cassa previdenza e assistenza dei geometriliberi professionisti)
  • Fondazione Cariplo
  • Compagnia di San Paolo
  • Varie Fondazioni di casse di risparmio

Chi è Cassa Depositi e Prestiti

Cassa Depositi e Prestiti invece è il braccio armato dello Stato attraverso il quale l’esecutivo può entrare all’interno delle società, acquistando quote o facendo prestiti.

Tra le partecipazioni di CDP c’è sicuramente quella di tutte le partecipazioni pubbliche: Enel, ENI, Poste Italiane, ecc.

Inoltre si registra la presenza di CDP nel momento in cui c’è da salvare qualche istituzione, come con il prestito a Banca MPS (e successivo prelievo di quote) o l’ingresso nelle varie operazioni su Alitalia.

Ingresso nel capitale di Atlantia

Inoltre, sull’onda di questi ingressi nei vari capitali, a un certo punto si è vociferato anche dell’ingresso dello Stato, sempre attraverso F2i e CDP, nell’azionariato di Atlantia.

Anche qui senza chiarezza sui prezzi e sulle quantità, gettando nell’ombra il titolo in borsa; anche perché un’eventuale accordo a prezzi scontati (e non si vede come non dovrebbe essere a prezzi scontati) farebbe immediatamente crollare il prezzo di Atlantia, con relativa perdita per tutti i soci minori, compresi azionisti retail (in tutto ciò la CONSOB, guidata da Paolo Savona, dorme sonni tranquilli).

Inoltre non si capisce nemmeno bene il perché lo Stato italiano dovrebbe entrare nel capitale di una società, come Atlantia, con partecipazioni in tutto il mondo e che gestisce autostrade e aeroporti di Francia, Cile, UK, Brasile, Argentina, Spagna, ecc. Con quale diritto lo farebbe?

Ma viviamo in tempi complessi da capire e quindi tutto potrebbe essere.

Covid-19 e DL Liquidità

Durante il mese di maggio, inoltre, a seguito del Covid-19 e del lockdown che ha stroncato il traffico autostradale, Atlantia, dopo aver prestato ad Aspi 900 milioni di euro, ha chiesto accesso ai prestiti Sace previsti per le aziende dal DL Liquidità, in modo da compensare parte delle perdite attraverso lo stesso prestito.

Su questa richiesta si è scatenata la bagarre politica il M5S che trova vergognoso che la famiglia Benetton chieda aiuto allo Stato.

La verità, al di là delle battaglie politiche, che tipicamente vanno poco d’accordo con gli interessi economici, è che nessuno potrebbe vietare il prestito ad Atlantia, a patto che questa faccia le cose in regola come è ovvio che sia.

Nel mentre le agenzie di rating, visto il perdurare dell’incertezza sulla concessione, hanno abbassato i rating di Atlantia, sfavorendo l’accesso al credito del mercato. E in effetti, chi presterebbe soldi a una società che potrebbe non restituirli poiché potrebbe non avere più uno delle principali fonti di reddito?

Giuseppe Conte e il governo hanno l’accordo

Nel bel mezzo di tutto questo trambusto, con gente che gira per i corridoi gridando “revoca” o osannando CDP, c’è Giuseppe Conte che all’alba di metà giugno del 2020 dice di aver raggiunto un accordo con tutte le anime dei vari partiti della maggioranza e che quindi è pronto all’accordo con Aspi e con Atlantia.

Anche il ministro dei trasporti del Conte II, Paola De Micheli, dice di avere le idee chiare e che il governo, entro 15 giorni dal 14 giugno, saprà comunicare la propria decisione.

La verità però sembra essere che l’esecutivo si è infilato in un pasticcio da cui non sa uscire e nessuno vuole prendersi la responsabilità di fare la mossa decisiva che potrebbe scontentare la politica, scontentare il popolo oppure infilare lo Stato in una sorta di stallo giudiziario che durerebbe anni e che manderebbe nel caos le autostrade poiché ANAS non pare in grado, in tempi rapidi, di sopperire all’abbandono di Autostrade per l’Italia.

Atlantia scrive all’Europa

Naturalmente l’abbandono della rete autostradale con conseguente causa legale non conviene nemmeno ad Atlantia, che in questa circostanza vedrebbe azzerati gli introiti dalle autostrade, con relativo possibile fallimento di Aspi e problemi nella continuità aziendale di Atlantia stessa.

In pratica c’è il rischio che l’Italia perda una delle aziende più grandi e partecipate attualmente attive.

Per questo motivo la famiglia Benetton, attraverso il presidente e il CEO di Atlantia, Fabio Cerchiai e Carlo Bertazzo, prova a smuovere la Commissione Europea per intervenire sulla questione e obbligare lo Stato Italiano a fare qualcosa.

Pronta la risposta di Valdis Dombrovskis, vicepresidente della Commissione, che conferma la ricezione e dice che “i servizi tecnici la stanno analizzando e sarà inviata una risposta quanto prima”.

Il Financial Times anticipa un rumor secondo il quale Atlantia lamenta la modifica attuato con il Milleproroghe, oltre a sottolineare come la società è stata esclusa dai prestiti con garanzia pubblica del DL Liquidità per mere questioni politiche.

Il precedente in Europa

Non è un caso che Atlantia scriva alla Commissione Europea poiché esiste già un precedente del 2006, quando la Commissione avviò una procedura di infrazione contro l’Italia che con il governo Prodi provò a modificare il sistema concessorio in modo da svantaggiare i privati.

Si va oltre il 30 giugno, quindi ai supplementari

Un po’ a sorpresa, quando il tutto sembra destinato a innescare la più grande causa civile della Storia della Repubblica Italiana, Autostrade per l’Italia fa un’importante apertura e concede tempo al governo per trovare un accordo.

Siamo al 22 giugno e con decisione di un cda straordinario, Atlantia invia una nota al governo nella quale si concede tempo e si preannuncia che al 30 giugno non verrà riconsegnata la concessione.

Atlantia, nel dettaglio, scrive:

Autostrade per l’Italia ribadisce la volontà di perseguire la definizione concordata dei procedimenti in corso anche dopo il 30 giugno […] tale comportamento trova giustificazione nel fatto di avere già contestato in sede giurisdizionale le disposizioni normative del decreto milleproroghe, che hanno modificato unilateralmente la Convenzione unica sotto plurimi aspetti, e nel fermo convincimento, supportato da autorevoli consulenti esperti nella materia, dell’illegittimità costituzionale e comunitaria delle disposizioni contestate in tali giudizi […] Qualora invece gli esiti di tali contenziosi non confermassero le convinzioni della società, i presupposti per l’applicazione dell’articolo 9 bis della Convenzione unica si sarebbero verificati, non potendosi ritenere rinunciati

Tradotto, la holding che controlla Aspi scrive di ritenere completamente illegittime le modifiche unilaterali del contratto, entrate in essere con il Milleproroghe, ma concede comunque tempo oltre il 30 giugno, senza sfruttare la possibilità di riconsegnare la concessione.

A questo punto il Milleproroghe diventa efficace e l’indennità eventuale, per la revoca della concessione, passa dai circa 23 miliardi a circa 7 miliardi.

Si tratta di un’apertura enorme da parte della società che gestisce la rete autostradale poiché presta il fianco alla revoca già dall’1 luglio.

Aspi si fa forte evidentemente su due punti:

  1. Anas non è in grado di gestire in tempi rapidi la rete
  2. Qualora arrivasse la revoca ci sarebbe comunque una causa enorme, contestando il Milleproroghe poiché comunque è una modifica unilaterale del contratto

Un rischio che però permette alle parti di continuare a parlare e trovare un accordo. Inoltre Atlantia restituisce al governo la patata bollente poiché, probabilmente, nell’esecutivo qualcuno aveva fatto i calcoli al 30 giugno, ritenendo probabile che Aspi avrebbe restituito la concessione e quindi senza dover decidere di revocarla. Sarebbe stata una bella comodità poiché ci sarebbe stato il delitto senza un colpevole, anche se a pagare sarebbe probabilmente stata l’Italia, ma in tempi molto lunghi e presumibilmente con un altro esecutivo a dover srotolare la matassa.

Con questa mossa invece Atlantia restituisce la patata bollente, cerca il compromesso e se revoca dovrà essere qualcuno la dovrà firmare.

La Corte Costituzionale dà la spinta al governo

Come prevedibile, la decisione della Corte Costituzionale, di cui abbiamo già parlato, ha dato una spinta decisiva alla verve del governo, il quale, nella settimana del giudizio da parte della Corte, decide che è ora di chiudere il capitolo di Autostrade per l’Italia.

Dietro a lamentele, da parte di Aspi, la quale ha affermato che mai è pervenuta una risposta ufficiale alle proposte da lei fatte, l’esecutivo convoca, nella giornata del 9 luglio 2020, la società.

Quello che ne esce è una richiesta per migliorare le offerte, così che sia accettabile una proposta.

L’impressione è che l’accordo non è lontano e si potrebbe perfezionare con un aumento di capitale su Aspi, interamente pagato dallo Stato, così da far scivolare Atlantia a socio di minoranza nel cda di Aspi.

Proprio in questa direzione si lavorerebbe e la nuova offerta, che Aspi dovrebbe portare al tavolo del governo, sarebbe anche propedeutica per capire qual è il vero valore di Aspi e quindi quale sarebbe l’impegno per il Governo per entrare nel capitale di Autostrade.

Da parte sua l’esecutivo dà un ultimatum ad Aspi, chiedendo una proposta accettabile entro lunedì 13 luglio, altrimenti si mette in pista la revoca della concessione.

L’ultima proposta e la probabile revoca

Sabato 11 luglio il cda di Autostrade per l’Italia recapita al Governo l’ultima proposta che prevede:

  • Nuovo regime tariffario legato ai lavori di ammodernamento svolti (RAB Based come proposto dal Ministero dei Trasporti)
  • Diluzione di Atlantia attraverso un aumento di capitale da parte di Cassa Depositi e Prestiti, tale da portare Atlantia sotto al 51%
  • 3,4 miliardi di investimenti straordinari, che si aggiungono ai 7 già promessi e ai 14 ordinari, da distribuire fino al termine della concessione
  • Modifica alle norme su indennizzo dovuto dalla concessionaria in caso di inadempienza

Proprio su questo ultimo punto però il Premier Conte dice:

inaccettabile la pretesa di Aspi di perpetuare il regime di favore in caso di nuovi inadempimenti degli obblighi di concessione

Premier Giuseppe Conte su ultima proposta di Autostrade

Inoltre lo stesso premier ha aggiunto che “Quando ho letto la proposta ho pensato a uno scherzo”.

In un’intervista alla stampa ha affermato:

I Benetton non hanno ancora capito che questo governo non accetterà di sacrificare il bene pubblico sull’altare dei loro interessi privati. Hanno beneficiato di condizioni irragionevolmente favorevoli per loro: può bastare così. Porterò la questione della revoca in Consiglio dei ministri e decideremo collegialmente, ma non siamo disponibili a concedere ulteriori benefici

Giuseppe Conte in un’intervista su La Stampa

Al Fatto Quotidiano ha aggiunto:

Se devo esprimere una valutazione personale, alla luce di tutto quanto è accaduto, sarebbe davvero paradossale se lo Stato entrasse in società con i Benetton. Non per questioni personali, che non esistono, ma per le gravi responsabilità accumulate dal management scelto e sostenuto dai Benetton nel corso degli anni fino al crollo del Morandi e anche dopo

Giuseppe Conte in un’intervista su il Fatto Quotidiano

Risponde a stretto giro, sia sul Messaggero che sulla Stampa Gianni Mion, presidente di Edizione, holding dei Benetton che è primo azionista di Atlantia, che afferma che la proposta fatta dalla società è seria, ma aggiunge di non essere ottimista.

Ma si vedono spaccature nel Governo, con Matteo Renzi, a capo di Italia Viva, la quale fa da stampella al Governo in carica, che afferma su Facebook:

I populisti chiedono da due anni la revoca della concessione. Facile da dire, difficile da fare…. La strada è un’altra. Se proprio lo Stato vuole tornare nella proprietà, l’unica possibilità è una operazione su Atlantia con un aumento di capitale e l’intervento di Cdp. Operazione trasparente, società quotata, progetto industriale globale

Matteo Renzi su Facebook

L’accordo raggiunto sulla base di un’IPO e senza revoca

Alla fine viene raggiunto l’accordo di notte, precisamente quella tra il 14 e il 15 luglio del 2020.

L’accordo raggiunto prevede che:

  • Cassa Depositi e Prestiti sale quasi immediatamente fino al 51% del capitale di Autostrade per l’Italia, attraverso un aumento di capitale riservato
  • Revisione completa di:
    • Tariffe autostradali
    • Risarcimenti per Genova
    • Impegni economici per il mantenimento adeguato delle infrastrutture
    • Riscrittura delle clausole di revoca (modifica del Milleproroghe) per alzare il livello di risarcimento in caso di revoca
  • Rinuncia da parte di Atlantia del diritto di fare ricorso in merito alla ricostruzione del nuovo Ponte sul Polcevera e in merito al Milleproroghe
  • Possibilità per Atlantia di cedere fino all’88% del capitale di Autostrade (quindi la totalità del pacchetto detenuto da Atlantia)
  • Dopo l’entrata di CDP la società Autostrade verrà quotata con IPO e questo farà diluire ancora Atlantia (se ancora avrà quote e se avrà venduto solo il 51%) tra il 10% e il 12%, quota che non permette l’ingresso in cda

Non sono emerse le cifre su cui c’è un accordo di massima per il 51% delle quote di Autostrade, ma appare evidente che se i Benetton hanno accettato allora la quota non è così bassa.

Si dà mandato a Cassa Depositi e Prestiti per trovare la quadra dell’uscita di Atlantia entro il 27 luglio. A partire da questa data, entro 6 mesi, Atlantia perderà quindi il 51% di Autostrade che passerà nelle mani dello Stato.

Tra le possibilità, inoltre, viene dato diritto a Cassa Depositi e Prestiti di non partecipare al 100% all’aumento di capitale che garantirebbe il controllo, ma di indicare istituzioni di gradimento per Cdp per prelevare quote direttamente da Atlantia, con l’impegno, per quest’ultima, di non cedere tali introiti alla distribuzione di dividendi.

Ripercussioni per l’accordo trovato

Appare subito evidente come con l’accordo trovato quasi tutti escono vincitori, infatti:

  • il Movimento 5 Stelle potrà dire di aver allontanato i cattivi Benetton dalla gestione della cosa pubblica;
  • la famiglia Benetton avrà raggiunto un introito soddisfacente per incassare un lauto assegno, che non verrà distribuito (così il M5S non verrà accusato di aver pagato i Benetton) ma visto il debito enorme di Atlantia questo è un bene;
  • l’incasso da parte di Atlantia servirà per abbattere l’enorme debito o per fare nuovi investimenti all’estero (strada già di successo, con Albertis che garantisce già più EBITDA rispetto ad Aspi)

Ne rimane fuori dai vincitori forse solo Autostrade per l’Italia, che avrà il socio prevalente statale, che probabilmente va incontro a una stagione di clientalismo e che vedrà fortemente ridursi il proprio utile.

Inoltre, sulla base di quanto stabilito, l’IPO di Autostrade per l’Italia non si presenta proprio come un’occasione per chi vorrà entrare (ed ecco perché Atlantia si è resa disponibile a cedere l’intero pacchetto), anche perché chi acquisterebbe quote di una società che deve garantire spese enormi per il mantenimento di strade e autostrade con il ridursi al minimo (se non in negativo) per l’utile?

C’è infine da capire quale sarà la cifra di liquidazione da parte di Atlantia. Quanto varrà Autostrade? Anche perché Atlantia si è impegnata a non fare ricorsi sulla ricostruzione del Ponte e sul Milleproroghe, ma qualora lo Stato mostrasse i muscoli, obbligando Atlantia a vendere a sconto, nessuno impedirebbe a quest’ultimo di difendere il proprio diritto di fare il prezzo.

Le trattative tra Cassa Depositi e Prestiti e Atlantia

Appare molto evidente che Atlantia, prima di cedere Aspi, cercherà di valutare al meglio il proprio asset, allo stesso tempo Cassa Depositi e Prestiti, nel ruolo di acquirente, vorrà far valere meno possibile la partecipazione in Autostrade per l’Italia.

Ne esce un nuovo ennesimo groviglio che dovrà essere sbrogliato. Il tutto si inceppa sulle manleve che Cassa Depositi e Prestiti chiede e che Atlantia rifiuta poiché non previste dall’accordo raggiunto con il governo.

Inoltre c’è la questione della valutazione dell’asset stesso che cdp valuta molto meno di quanto pretende Atlantia e di quanto è stato valutato pochi anni prima nella cessione di una parte ai soci di minoranza.

Le proposte di Atlantia e le richieste di CDP

Durante le fasi di trattativa si contano almeno 4 proposte formali arrivate da Atlantia negli uffici di CDP, proposte sempre rimandate al mittente.

Da Ponzano Veneto, sede di Atlantia, iniziano a perdere la pazienza e non si arriva alla conclusione entro la data simbolica del 3 agosto, deadline per l’inaugurazione del nuovo ponte.

Si parla anche della scissione di Aspi da Atlantia, su volere di CDP e poi su iniziativa di Atlantia, fino al cda della capogruppo avvenuto in data 4 agosto. Cda ufficialmente convocato per l’approvazione dei conti della holding ma praticamente monopolizzato sulle decisioni per la scissione di Aspi.

Inoltre, nei giorni tra l’accordo con il governo del 14 luglio e il cda di Atlantia del 4 agosto, c’è anche da registrare l’aumento dell’urlo degli azionisti minori della società di Ponzano Veneto, i quali ricoprono circa il 70% della quota e non ci stanno a perdere valore solo perché il governo ha deciso di punire la famiglia Benetton.

Insomma, anche in questo caso, come in tutta la trattativa negli ultimi 2 anni, regna il caos.

Scissione e vendita di Autostrade per l’Italia

Nell’attesa che Cassa Depositi e Prestiti faccia una valutazione corretta di Autostrade per l’Italia, la capogruppo, nel cda del 4 agosto, da mandato per mettere in vendita l’asset al miglior offerente.

Dal cda esce un comunicato che recita:

allo stato si rilevano concrete difficoltà nel proseguimento positivo delle trattative, non solo per concordare la definizione di meccanismi volti alla determinazione di un valore di mercato di Aspi, ma anche per effetto di richieste avanzate da parte di Cdp su ulteriori impegni al di fuori di quanto rappresentato nella lettera del 14 luglio 2020

Comunicato Stampa Atlantia su cda del 4 agosto

Nel dettaglio, viene dato mandato all’amministrazione per trovare il miglior offerente (o gruppo di offerenti) dell’88% posseduto e di venderlo.

Viene quindi decretato lo stop alle trattative con Cassa depositi e prestiti e qualora lo strumento dello Stato voglia entrare in possesso di Autostrade per l’Italia può fare un’offerta vincolante.

La società comunque rimane sulla strada di quanto concordato con il Governo il 14 luglio, con la cessione di Autostrade per l’Italia da Atlantia e la cessione a player interessati. Sempre nel comunicato si sottolinea:

volontà della società di dare corso a quanto delineato […] dover individuare anche soluzioni alternative idonee comunque a giungere ad una separazione tra la società ed Autostrade per l’Italia, che diano certezza al mercato, sia in termini di tempi che di trasparenza, nonché della irrinunciabile tutela dei diritti di tutti gli investitori e stakeholders coinvolti […] alla vendita tramite un processo competitivo internazionale, gestito da advisor indipendenti, dell’intera quota dell’88% detenuta in Autostrade per l’Italia, al quale potrà partecipare CDP congiuntamente ad altri investitori istituzionali di suo gradimento, come già ipotizzato nella lettera […] scissione parziale e proporzionale di una quota fino all’88% di Autostrade per l’Italia mediante creazione di un veicolo beneficiario da quotare in borsa, creando quindi una public company contendibile

Parte del comunicato del cda di Atlantia del 4 agosto 2020

Insomma, in definitiva, Atlantia ha deciso di percorrere 2 strade parallele:

  1. Scissione di Aspi da Atlantia e relativa quotazione della stessa
  2. Vendita, in parte o in blocco, di Aspi a player che si dovessero presentare alla porta

Con questa mossa da Ponzano hanno voluto togliere lo scettro dalle mani di Cassa depositi e prestiti e consegnarlo al mercato, cercando di cedere, in modo equo, la quota di Autostrade.

La deadline viene posta al 3 settembre, quando è stato già convocato un nuovo cda che esaminerà le proposte (del management) per la scissione e relativa quotazione di Autostrade.

Autostrade Concessioni e Costruzioni S.p.A.

Dal cda del 3 settembre, dopo un mese dal precedente, arriva la conferma: si esce con un nome ben chiaro “Autostrade Concessioni e Costruzioni S.p.A.“, una newco che raccoglierà l’asset di Aspi in mano ad Atlantia.

Inoltre si arriva anche a un simil accordo con Roberto Gualtieri, Ministro dell’Economia, che prevede prima lo scorporo del 70% di Aspi da Atlantia (sull’88% totale posseduto), con cessione delle quote della nuova nata a tutti gli azionisti della holding; successivamente arriverebbe un aumento di capitale di Cassa Depositi e Prestiti da 6 miliardi, i quali servirebbero: 4 miliardi per ridurre il debito di Aspi, 2 miliardi per rilevare il 18% ancora in mano ad Atlantia.

Una valutazione di Aspi di circa 11 miliardi quindi, valore che fa schizzare il giorno successivo il titolo Atlantia in borsa (+16%).

Dual track per Aspi

E mentre dal lato del Governo volano minacce e partono lettere intimidatorie, il 24 settembre del 2020 il cda di Atlantia decide di instaurare il Dual Track.

In pratica si dà mandato al management per scorporare le quote di Aspi da Atlantia per far nascere la nuova società da quotare in borsa.

Operazione aperta a qualsiasi attore interessato, compresa la stessa Cassa Depositi e Prestiti che negli ultimi giorni era apparsa molto nervosa.

Nel comunicato a seguire Atlantia sottolinea proprio:

preso atto delle difficoltà emerse nelle interlocuzioni con Cassa depositi e prestiti

Dal comunicato di Atlantia del 24 settembre

Decisione che dalle parti di Ponzano Veneto vedono come coerenti con quanto deciso con il Governo nella notte tra il 14 e il 15 luglio scorso.

Con questa operazione Atlantia si disfa completamente dell’88% detenuto in Aspi, vendendolo direttamente a chi interessato oppure quotandolo attraverso la nuova Autostrade Concessioni e Costruzioni S.p.A.

Insomma, dal Veneto hanno deciso di portare a termine questa operazione e stanno procedendo spediti, senza aspettare il Governo che fino a ora avrebbe sonnecchiato.

L’operazione di scissione porterebbe a ogni azionista di Atlantia un’azione della nuova Autostrade Concessioni e Costruzioni S.p.A. a fronte di un’azione di Atlantia detenuta.

Aspi sarebbe ceduta al 61,86% nella nuova ACC, che verrebbe poi quotata, e per il 33,06 rimarrebbe in capo ad Atlantia. Quest’ultima quota sarebbe destinata comunque a investitori terzi.

Ultimatum e nuovi accordi

Come ampiamente prevedibile, il Governo non accetta di buon grado la nuova soluzione di Atlantia che prevede la cessione in blocco dell’88% o la scissione con successiva quotazione di Autostrade.

Il Premier Conte torna a parlare di revoca e dà tempo fino a mercoledì 30 settembre per trovare un’intesa che preveda, come da accordi di metà luglio, l’ingresso di Cassa Depositi e Prestiti nella partita, attraverso un aumento di capitale.

Da parte sua, invece, Atlantia, continua per la sua strada sottolineando come il nuovo processo Dual Track non esclude a priori Cdp ma tutela gli interessi di tutti gli azionisti della Holding e, soprattutto, di Aspi.

Tesi non accettabile dal M5S che a luglio aveva festeggiato la cacciata dei Benetton e quindi non può indietreggiare in questo momento, onde evitare di far passare un messaggio distonico verso i propri elettori.

Il governo giallo rosso, soprattutto nell’anima grillina, pretende che i Benetton ne escano senza incassare nemmeno un euro, ma ovviamente da Ponzano Veneto non sono certo d’accordo, così come d’accordo non sono i piccoli azionisti che in Atlantia coprono il 70% della proprietà.

Secondo indiscrezioni, rivelate da La Stampa, in arrivo tra lunedì e martedì (28/29 settembre) ci sono lettere, ambo i lati, per cercare di mitigare la situazione e recuperare un possibile accordo che pare sempre più lontano. In tanti, infatti, pensano che la Holding non voglia mollare l’asset senza lottare, anche se ciò significa una lunga procedura giudiziale.

Diritto di esclusiva nell’acquisto di Aspi per Cdp

Con una mossa un po’ a sorpresa, Atlantia il 13 ottobre del 2020 ha concesso a Cdp un periodo di esclusiva per proporre un’offerta vincolante che sia con un valore di mercato.

Appare evidente come, con questa azione, Atlantia persegue un triplice scopo:

  1. Mettere a tacere le voci e le proteste per una possibile violazione di quanto stabilito con il governo nella riunione del 14 luglio;
  2. vendere la società a un prezzo di mercato, mantenendo la possibilità di rifiutare l’offerta dall’ente pubblico;
  3. qualora l’offerta fosse troppo bassa, poter affermare che lo Stato ha intenzione di nazionalizzare/esurpare un bene a un’azienda privata.

Il primo di questi punti è già raggiunto con la semplice possibilità data a Cassa Depositi e Prestiti di presentare un’offerta con un periodo di esclusiva.

Tant’è che nella nota che accompagna la decisione si legge chiaramente:

Il Consiglio di amministrazione di Atlantia ha confermato la propria disponibilità a valutare un’eventuale proposta da parte di Cassa Depositi e Prestiti – unitamente ad altri investitori nazionali e internazionali – per un possibile accordo, relativo all’acquisto dell’integrale pacchetto azionario (pari all’88,06%) della controllata Autostrade per l’Italia, idoneo ad assicurare l’adeguata valorizzazione di mercato della partecipazione medesima. […] tale ipotesi è aderente alla lettera inviata da Atlantia al Governo lo scorso 14 luglio ed in linea con le deliberazioni del consiglio di amministrazione.

Nota del cda di Atlantia del 13 ottobre 2020

I punti 2 e 3 sono autoescludenti: se il Governo presenterà un’offerta adeguata la Holding di Ponzano Veneto venderà a mercato e uscirà dall’asset limitando le perdite e con una forza economica tale per abbattere il debito o per investire su altri asset all’estero. Se invece a prevalere fosse il punto 3, a quel punto Atlantia potrà affermare di non voler vendere a Cassa Depositi e Prestiti perché il prezzo proposto è troppo basso.

Da parte sua, Cassa Depositi e Prestiti, messa un po’ all’angolo, ha accettato di buon grado la possibilità e si è subito messa al lavoro per poter arrivare alla data di deadline del 18 ottobre con un’offerta adeguata.

Il Cda di Atlantia era stato fissato già per il 19 ottobre per valutare l’offerta, inoltre un secondo incontro è già fissato per fine mese per proseguire con il dual track, che deciderà lo scorporo e conseguente quotazione sul mercato.

Lo schema per l’acquisizione da parte di Cdp

Cassa Depositi e Prestiti ha accolto l’opportunità, ha chiesto pochissimi giorni in più e ha fatto pervenire una proposta il 19 ottobre per l’88% di Autostrade in mano ad Atlantia.

Lo schema proposto prevede la creazione di una newCo che è composta al 40% dalla stessa Cdp e con la presenza, con il 30% ciascuno, del fondo americano Blackstone e del fondo australiano Macquarie. Questa newco sarebbe l’acquirente della quota in mano ad Atlantia ed è aperta, per il futuro, a nuovi ingressi con capitali nazionali (si parla di qualche fondazione e/o di qualche istituto di credito, capitanati dal fondo F2i). Non è però stato risolto il nodo principale, cioè il prezzo dell’asset, poiché il trio che ha presentato l’offerta ha chiesto tempo fino al 28 ottobre per riuscire a mettere sul piatto un’offerta concreta e vincolante, presentando solo un range di valore.

Da parte sua, Atlantia, riunitasi per valutare l’offerta, ha ritenuto lontana l’offerta fatta e ha concesso tempo fino al 27 ottobre per presentare una nuova offerta “seria”. Questa la nota:

pur esprimendo apprezzamento per l’elaborazione dell’offerta, ha valutato i termini economici e le relative condizioni allo stato non ancora conformi e idonei ad assicurare l’adeguata valorizzazione di mercato della partecipazione.

Nota cda Atlantia su valutazione offerta preliminare cdp

Non sono state pubblicate le cifre offerte ma più di un rumor parla di un valore poco superiore ai 9 miliardi per prendere possesso dell’88%. Di questi 9 miliardi, 6 o 7 dovrebbero essere sotto forma di equity, mentre 2 o 3 dovrebbero servire per coprire il debito di Aspi.

Grandi dubbi invece sulla governance di questo nuovo veicolo finanziaro, ciò perché i due fondi interessati, pur possedendo il 60% delle quote, potrebbero essere vincolati al solo 49% dei diritti di voto; ciò per garantire una veste tricolore all’operazione e per mantenere la promessa di avere la rete autostradale in mano italiane.

Appare però evidente, al di là della governance del veicolo che acquisirà l’88% di Aspi, che la rete autostradale non ha mai parlato meno italiano di oggi. Se l’operazione dovesse andare in porto, oltre al 60% della quota Atlantia (88% di Aspi), in mano straniere c’è già il 12% venduto in passato da Atlantia ai tedeschi di Allianz e ai cinesi di Silk Road Fund. Con questo nuovo schema la proprietà di Aspi sarebbe solo di circa il 35% in mano italiane, mentre il restante 65% sarebbe in mano straniera.

Cda del 30 ottobre e ruolo del fondo Tci

Nel mentre il fondo Tci, in vista del cda del 30 ottobre, ha iniziato ad agitare le acque e vorrebbe avere i diritti di voto (fino al 10%) per poter sorvegliare sulle decisioni prese in seno ad Atlantia.

In realtà, prima della riunione, solo l’1,2% delle quote di aventi diritti al voto è di riferimento del fondo Tci, ma la stessa ha posizioni di equity swap fino al 8,83% che se esercitate portano il peso a oltre il 10%.

Il fondo in una nota segnala:

non ha attualmente l’intenzione di acquistare il controllo di Atlantia ma come socio rilevante della Holding vorrebbe esercitare i suoi diritti di azionista e di continuare a mettere a disposizione della società i suoi punti di vista e le sue opinioni.

Nota del fondo TCI sull’acquisto di diritti di voto per il cda del 30 ottobre

Vendita di Telepass

Nel mentre è andata avanti ed è arrivata a conclusione un’altra operazione che si protraeva da ben prima del crollo del Ponte Morandi, cioè la cessione di una quota di minoranza di Telepass.

La società di pagamento è in mano ad Atlantia e rimarrà nelle mani di Ponzano Veneto, anche perché oramai ha una dimensione che ha valicato il solo pagamento autostradale: serve il pedaggio in tutta Europa e in parte del Sud America, permette di pagare parcheggi, traghetti e altre tipologie di viaggio, di avere cashback con vari esercenti; si è quindi di molto staccato dal semplice sistema di pagamento autostradale e non ha alcun senso che sia legato ad Aspi. Si tratta del più grande sistema di pagamento pedaggio in Europa, con 7 milioni di clienti e 12 milioni di dispositivi attivi.

Nonostante ciò però è evidente che il pagamento del casello autostradale rimarrà in mano a Telepass, con Atlantia che non sarà più proprietaria della rete ma che gestirà una parte dei pagamenti (a meno di decisioni sorprendenti da parte della nuova proprietà che verrà).

Il 17 ottobre del 2020 Atlantia ha finalmente chiuso il capitolo cessione Telepass, vendendo il 49% della società al fondo svizzero Partners Group. Gli elvetici sono stati gli ennesimi ad aver visto i conti della società Fintech, dopo una fila che può contare KKR, CVC, Warburg Pincus e Permira.

Un interesse che scavalla il semplice sistema di pagamento ma che vuole mettere mano sull’immensità di dati in possesso di Telepass, ciò per fare nuovi sviluppi futuri basati sull’Intelligenza Artificiale e soprattutto che tiene in considerazioni acquisizioni appena fatte da Telepass stesso, nel mondo del car wash e del car sharing, giusto per segnalarne un paio.

Arrestati ex digirenti

All’improvviso, mentre si tratta per il prezzo di Aspi con Atlantia che sembra la parte forte, arrivano una serie di misure cautelari, da parte della Guardia di Finanza, nei confronti di ex dirigenti di Autostrade per l’Italia.

Le accuse, abbastanza pesanti, sarebbero attentato alla sicurezza dei trasporti e frode in pubbliche forniture.

Il nome più in vista è certamente quello di Giovanni Castellucci, ex AD proprio di Aspi. Ai domiciliari anche l’ex responsabile manutenzioni e il direttore centrale operativo dell’azienda.

I 6 sarebbero finiti in mezzo a un’inchiesta, partita dal crollo del Ponte Morandi ma che ha seguito un percorso alternativo. Nel dettaglio, secondo quanto si apprende, sarebbero accusati per aver “risparmiato” sull’installazione di pannelli fonoassorbenti sulla rete autostradale.

In pratica, i 6 dirigenti, anziché acquistare e installare i pannelli fonoassorbenti come da regolamenti europei, avrebbero acquistato e installato pannelli di peggiore qualità, risparmiando ingenti cifre.

Il problema interesserebbe i pannelli Integautos, installati, come segnala la stessa Aspi, su 60 dei 3.000 km di rete autostradale. Inoltre da Autostrade fanno sapere:

la totalità di queste barriere è già stata verificata e messa in sicurezza con opportuni interventi tecnici tra la fine del 2019 e gennaio 2020, nell’ambito del generale assessment delle infrastrutture messo in atto dalla società su tutta la rete autostradale

Risposta di Autostrade per l’Italia all’indagine che ha portato a misure cautelari per 6 persone

Fanno eco i legali di Castellucci:

Stupore e preoccupazione per un provvedimento che non si giustifica in sé e che non si vorrebbe veder finire a condizionare una vicenda, quella del crollo del Ponte Morandi, che con quella odierna non ha nulla a che vedere. È opportuno precisare, che si tratta di due vicende completamente distinte. La vicenda riguarda presunti errori progettuali ed esecutivi di alcune barriere fonoassorbenti nella provincia di Genova”, sottolineano i legali

Legali di Castellucci sulle misure cautelari che interessano l’ex AD di Aspi

Conseguenze degli arresti sulla procedura di revoca

Appare evidente che, benché l’indagine sia nata da una costola del Ponte Morandi, con il crollo di Genova non ha nulla a che fare.

Questo però non importa a chi soffia sul fuoco della revoca e comunque mette in cattiva luce Atlantia, facendole perdere peso contrattuale sul tavolo delle trattative con Cassa Depositi e Prestiti per la cessione di Autostrade per l’Italia.

A voler pensare male l’indagine sembra quasi pilotata per arrivare nel momento perfetto, con il governo che prendeva tempo e la holding pronta a chiudere la trattativa. Ma noi non vogliamo pensare male e siamo sicuri che le Fiamme Gialle abbiamo svolto perfettamente il loro lavoro.

Si litiga sul Covid

La deadline per presentare un’offerta da parte di Cassa Depositi e Prestiti è fissata a fine novembre, quando il periodo di esclusiva, stando a quanto detto da Atlantia, finirà.

Eppure ancora a metà novembre non si conosce il prezzo di questo asset, ciò per un semplice motivo: manca il nuovo piano economico-finanziario della società che però non può essere approvato perché in mezzo c’è un tira e molla tra Aspi e Ministero dei Trasporti.

In base al piano economico-finanziario, capendo quale potrà essere la prospettiva di utile di Autostrade per l’Italia, si potrà finalmente prezzare Aspi e capiremo quanto dovrà spendere lo Stato e quanto incasserà Atlantia.

Però non manca occasione per litigare e dopo averlo fatto praticamente su tutti i punti, compreso il possibile costo dovuto alle cause legali per i fatti di agosto 2018, ora tocca al Covid.

Se vi state chiedendo cosa c’entri il Covid con le autostrade è presto detto: negli accordi di luglio parrebbe che lo Stato si sia impegnato per rimborsare parte della perdita dovuta al lockdown. Si parla di 532 milioni; peccato però che ora, tra tira e molla vari, questa cifra sia diventata poco più di 300 milioni e su queste basi il prezzo della società cambia. Non tanto per i 200 milioni mancanti nel 2020, quanto perché Aspi sta chiedendo al Mit di indicare quale sarà l’indennizzo per futuri casi simili. Da parte sua il Ministero nicchia e quindi, senza queste casistiche riportate su carta è complesso valutare la società, con conseguente svalutazione del prezzo stesso.

Cambio ai vertici di Atlantia

Nel weekend tra il 20 e il 22 novembre Atlantia decide di essere più accondiscente con l’esecutivo e nomina, per l’azienda controllata Edizione, Enrico Laghi, ex commissario di Ilva e Alitalia. A Laghi l’incarico di Amministratore Delegato e Presidente di Edizione.

Si tratta di una notizia importante poiché, visto il passato del commissario, si tratta di una chiara apertura nei confronti dell’esecutivo.

A lasciare l’incarico sarà Mion, storico presidente, nell’orbita di Ponzano Veneto sin dal 1985.

Atlantia approva il Piano Economico Finanziario

Oltre alla nomina di Enrico Laghi, Atlantia nello stesso week end di fine novembre fa un ulteriore passo importantissimo, cioè l’approvazione del nuovo Piano Economico Finanziario, oltre all’approvazione dell’Atto Aggiuntivo, il quale era funzionale per l’approvazione del Piano Economico Finanziario.

Con questa mossa Autostrade per l’Italia ha finalmente accettato formalmente tutti gli atti proposti dal governo, cioè l’Atto Transattivo per la chiusura della procedura di revoca (a inizio ottobre), la nuova versione del Pef (in settimana) e l’atto aggiuntivo (nella giornata di sabato).

A questo punto la palla passa a Cassa Depositi e Prestiti che dovrà fare la prossima mossa entro il termine del 30 novembre.

Le offerte rifiutate da Atlantia

Cassa depositi e prestiti ha paventato per due volte delle offerte non vincolanti sul range 8 / 8,5 miliardi, offerte che si sarebbero dovute appoggiare alla parte bassa della forchetta a causa dei rischi legali connessi all’operazione derivati dal crollo del Ponte Morandi.

Entrambe le offerte sono state rimandate al mittente, con Atlantia che non vuole cedere Aspi per meno di 9,5/10 miliardi; balla quindi 1,5 miliardi di valutazione che non permette all’offerta di trovare il gradimento della domanda.

Atlantia va al riassetto con dual track

Visto il tentennare da parte di Cassa Depositi e Prestiti, considerando che questa situazione di stallo sta bloccando investimenti, spese, dividendi e molto altro, Atlantia ha deciso nel cda del 15 gennaio 2021 di procedere con il dual track.

Oltre il 99% degli aventi diritto al voto ha deciso di procedere con la scissione di Aspi da Atlantia; dell’88% in mano ad Atlantia il 55% sarà quotato in borsa e quindi distribuito ai soci della holding; il restante 33% non sarà sottoposta a flottante. Rimane intatto ovviamente la quota posseduta da attori esteri, i quali continueranno ad avere il loro assett intatto.

Rimane ovviamente in pista la seconda strada che porta alla cessione dell’intero 88% a Cassa Depositi e Prestiti.

Qualora ciò non avvenisse, i tempi stimati per la quotazione è calcolata intorno ai 6 mesi.

L’Europa scrive all’Italia

Mentre Atlantia procede per la sua strada e in Cassa Depositi e Prestiti fanno i loro calcoli, nella data del 29 gennaio 2021 la Commissione Europea scrive una lettera all’Italia nella quale si chiedono maggiori informazioni sulla revoca della concessione e in modo particolare sul decreto Milleproroghe approvato alla fine del 2019 e che è diventato legge a inizio 2020.

Domande che sembrano già un’accusa contro l’operato del Governo Italiano.

Questi i passaggi più importanti della lettera recapitata a Roma:

Le modifiche normative introdotte dal decreto potrebbero costituire restrizioni alle libertà del mercato interno, in particolare la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei capitali

Le modifiche normative in questione sembrano essere tali da incidere sulla posizione di coloro che hanno fatto affidamento sul precedente regime di concessione.

In particolare, sulle disposizioni contrattuali potenzialmente più favorevoli in materia di indennizzi o estinzione anticipata. In che modo si accerterebbe la violazione degli obblighi del concessionario.

Da Bruxelles vogliono chiaramente capire quali sono i motivi e “in che modo si accerterebbe la violazione degli obblighi del concessionario” per un decreto che è arrivato in modo inaspettato e che manca di “disposizioni transitorie o indennizzi adeguati“.

La Commissione Europea non le manda a dire e specifica chiaramente che:

se fosse così potrebbero violare i principi della certezza del diritto

Grazie a questa lettera la Comunità Europea sembra schierarsi accanto agli azionisti, piccoli e grandi, che dalla mossa del Governo potrebbero essere danneggiati.

In particolare la UE vuole capire se lo stato di diritto, concordato con un contratto del 2007, viene leso con il Milleproroghe e quale è il motivo di questo decreto che abbatte gli indennizzi previsti contrattualmente.

Atlantia dà ulteriore tempo a Cpd

Gli azionisti di Atlantia, all’alba del 2021, dopo quasi 3 anni dai fatti di Genova, iniziano a perdere tempo e nel cda del 6 febbraio concedono tempo a Cassa Depositi e Presiti fino al 24 febbraio 2021, in attesa di un’offerta valida e vincolante.

Gli azionisti di Atlantia sono stanchi di offerte annunciate e di tempi che si allungano a dismisura e quindi danno un out-out, dentro o fuori, se entro il 24 febbraio 2021 non sarà arrivata un’offerta con valore di mercato e vincolante procederanno per altre strade.

Il rinvio arriva su richiesta del consorzio formato da Cdo, Blackstone e Macquarie, i quali al 31 gennaio chiedevano tempo fino a fine febbraio.

Dal canto loro gli azionisti di Atlantia chiedono:

un’offerta vincolante e non soggetta a condizioni di sindacazione o finanziamento

Le precedenti offerte non vincolanti, del 19 e del 27 ottobre 2020, con aggiornamento al 22 dicembre del 2020 sono sempre state rimandate al mittente poiché incomplete e/o con valutazioni basse per il valore di mercato di Aspi (offerte in un range tra 8,5 e 9,5 miliardi); addirittura nell’aggiornamento del 22 dicembre il prezzo dell’asset veniva persino rivisto al ribasso.

Il fondo TCI

A fare la voce grossa tra gli azionisti di Atlantia è il fondo TCI, che durante il 2020 ha portato la propria quota fino a oltre il 10%, ponendosi alle spalle di Edizioni dei Benetton. Per il fondo britannico, qualsiasi offerta al di sotto di 10/12 miliardi è assolutamente inaccettabile.

Per il CEO di TCI, Chris Hohn:

Questa dovrebbe essere considerata come una illegittima ri-nazionalizzazione di Autostrade. Atlantia, di fatto, è stata costretta a scegliere tra la vendita a Cdp o la revoca della concessione

Offerta vincolante per Autostrade per l’Italia

Alla fine il 23 febbraio in serata, quindi in zona cesarini, arriva la decisione di Cassa Depositi e Prestiti per l’offerta su Autostrade per l’Italia. Un’offerta vincolante, che non è subordinata a nessun tipo di condizione e che valuta il 100% dell’azienda circa 9 miliardi, un’offerta probabilmente bassa per le richieste di Atlantia (10/11 miliardi) e anche per il fondo TCI, che possiede il 10% di Atlantia e che aveva chiaramente espresso una valutazione tra 11 e 12 miliardi di euro per Aspi. Stessa valutazione, più o meno, espressa anche da Intermote, che valuta Aspi tra 10,9 e 12 miliardi.

Cambia invece il peso relativo degli offerenti, infatti si era sempre parlato del 40% in mano a cdp e il restante 60% da dividere tra Blackstone e Macquarie, invece l’offerta che arriverà con la firma di CDP Equity prevede lo Stato italiano al 51% e i due fondi fermi al 49%. Cassa Depositi e Prestiti che però anticipa che parte della propria quota potrebbe essere poi ceduta a investitori interessati.

Cambia infine la tipologia di offerta che non è riferita solo ad Atlantia ma a tutti gli azionisti di Aspi: infatti il nuovo veicolo, creato appositamente per presentare l’offerta, presenterà un’offerta fino al 100% di Aspi, saranno i soci minori a decidere se vendere le loro quote oppure meno.

Il cda di Atlantia a questo punto dovrà decidere se accettare l’offerta dello Stato e cedere il proprio 88% a una cifra che si aggira intorno a 7,92 miliardi, chiudendo così la partita e uscendo da possibili rimborsi per le conseguenze delle cause legate al Ponte Morandi, oppure se procedere con il dual track, quindi con lo scorporo di Aspi dal capitale di Atlantia e la conseguente quotazione.

Atlantia verso il rifiuto ma apertura dei Benetton

Il cda del 15 marzo dovrebbe arrivare a rifiutare l’offerta da parte di Cassa Depositi e Presiti, ma c’è da notare come Edizione, principale azionista di Atlantia, veicolo della famiglia Benetton, abbia aperto uno spiraglio per la cessione.

Appare ovvio il motivo per cui i Benetton vogliano vendere e uscire da questa situazione: quasi 3 anni di trattativa hanno bloccato vari investimenti per Atlantia e sfinito anche il più paziente degli investitori.

Inoltre liberarsi dell’asset potrebbe diminuire il rischio penale in arrivo dal processo di Genova. Quindi è evidente il motivo della voglia di disfarsi.

Ma in cda la posizione di Edizione dovrebbe essere isolata, soprattutto perché il fondo TCI, azionista con il 10% delle quote di Atlantia, continua a sostenere che l’asset non valga meno di 11 miliardi e tal proposito riporta anche la valutazione fatta dai Gavio per ASTM. Inoltre si sottolinea come la valutazione di 14,8 miliardi fatta dal gruppo formato da Allianz Capital Partners, per conto di Allianz Group, EDF Invest e DIF, attraverso i suoi fondi DIF Infrastructure IV e DIF Infrastructure V, che nel 2017 hanno acquistato l’11,94% di Aspi per un valore dell’asset di 14,8 miliardi non può essere oggi abbassato a 9,5 benché di mezzo ci sia stata anche la tragedia di Genova.

La possibile soluzione per l’uscita dei Benetton

C’è però un ulteriore strada che porterebbe i Benetton completamente fuori dal perimetro di Autostrade per l’Italia, garantendo il valore dell’asset per tutti gli azionisti di Atlantia. Si tratta dello scorporo dell’intera quota dell’88,06% in mano ad Atlantia con assegnazione ai soci di quest’ultima, a quel punto Edizione si troverebbe in mano il 26,63% di Aspi e potrebbe tranquillamente venderla.

In tal modo ogni azionista potrà decidere cosa farsene della quota, se è meglio cederla o tenerla.

In tale circostanza, non si può non notare come, sommando le quote di Edizione che potrebbero finire in mano a Cassa Depositi e Presiti, le quote del 11,94% in mano a investitori istituzionali e le quote in mano a:

  • TCI (8,8% di Aspi)
  • fondo del Singapore GIC (7,3% di Aspi)
  • 4,41% in mano ad HSBC
  • 4,27% in mano a Fondazione Cassa di Risparmio di Torino

Si avrebbe una quota del 63,35% circa in mano a enti istituzionali o finanziari e solo il 36,65% di Aspi come flottante.

In tal modo si garantirebbe il prezzo dell’asset, ipotizzando che nessuno di questi soggetti venda successivamente, e si avrebbe una vera public company.

La valutazione di Autostrade per l’Italia

Nel mentre, per poter rispondere adeguatamente all’offerta di Cassa Depositi e Prestiti, Atlantia ha incaricato 4 banche advisor le quali hanno lavorato per trovare un corretto prezzo di vendita. Le quattro banche sono Jp Morgan, Mediobanca, Bank of America e Goldman Sachs e dal dossier trattato ne è venuto fuori che, anche alla luce dei rischi per il crollo del Ponte di Genova, la forchetta di valore di Autostrade per l’Italia è tra 10,5 e 12 miliardi, trovando quindi una media siamo a 11,25 miliardi, ben al di sopra dell’offerta da 9,1 miliardi proposta da CDP.

Insomma, ballano 2 miliardi ed è complesso immaginare che questi vengano compensati solo con minor rischi legali.

Le dimissioni di Sabrina Benetton

Con le dimissioni e quindi l’uscita di Sabrina Benetton dal consiglio di amministrazione di Atlantia, viene meno, per la prima volta, la firma della famiglia nel consiglio della Holding.

Una dimissione per divergenze comuni, le quali confermano i rumor che vorrebbero i Benetton a spingere per trovare l’accordo con Cassa Depositi e Prestiti e il management, appoggiato dal fondo TCI, secondo azionista di Atlantia, con il desiderio di vedere correttamente valorizzato l’asset.

Ovviamente la famiglia non ha più posti nel consiglio degli azionisti ma rimane presente nell’assemblea, dove pesa (quasi) per un terzo dei voti e quindi potrebbe fare la differenza.

La spinta dei Benetton per la cessione a CDP

E quello di Sabrina Benetton non è l’unico segnale del fatto che la famiglia Benetton vorrebbe chiudere la questione e non è d’accordo con quanto sta succedendo in Atlantia.

A fine mese di marzo 2021 si consuma una grande battaglia nell’assemblea degli azionisti di Atlantia. La decisione da prendere è quella di prolungare le date di scadenza per l’operazione di scorporo di Autostrade per l’Italia da Atlantia e i Benetton dichiarano (e poi votano) contro questa possibilità.

In assemblea, grazie anche ai voti di Fondazione CRT, nonostante il voto di minoranza, lo scorporo viene definitivamente abbandonato.

I numeri sono emblematici:

  • 2 voti negativi
  • 1.167 voti positivi
  • 12 voti astenuti

Per quote così suddivise:

  • 48,06% voti negativi
  • 51,80% voti positivi
  • 0,14% astenuti

Insomma, Edizione dei Benetton non permette di raggiungere il quorum dei 2/3 di assemblea e quindi l’operazione, nonostante la maggioranza degli azionisti sia contraria, viene abbandonata.

La nuova offerta di CDP

Arriva anche un miglioramento dell’offerta per l’acquisizione di Autostrade da parte di Cassa Depositi e Prestiti. In particolare l’ente pubblico mette sul piatto 400 milioni di euro per ristori Covid e abbassa il peso degli indennizzi, in caso di decisione avversa sui fatti di Genova, da 1,5 miliardi a 500 milioni, quindi migliora l’offerta, in sostanza di 1,4 miliardi, mantenendo comunque la base dell’operazione a 9,1 miliardi per il 100% di Autostrade.

La prospettiva di cessione di Autostrade

La decisione di Atlantia si aspetta per maggio, ma alla luce dei voti in assemblea, appare complesso immaginare che l’offerta possa essere accettata, poiché se i voti rimanessero così come per lo scorporo, si avrebbe la maggioranza che voterebbe contro e allo stesso tempo servirebbero i 2/3 delle quote per accettare l’offerta.

Il ruolo di Edizioni, quindi, per far passare l’offerta è quello di convincere qualche azionista pesante a votare a favore.

L’offerta di ACS

E proprio quando la trattativa sembrava destinata a chiudersi, con i Benetton che spingevano verso l’accettazione dell’offerta di Cassa Depositi e Prestiti, ecco piombare sul tavolo una lettera inviata dalla spagnola ACS dell’imprenditore Florentino Perez.

Un’impegno a offerta che valuta Aspi, in base alle informazioni pubbliche e ai documenti disponibili, tra i 9 e i 10 miliardi di euro. Inoltre, oltre alla parte economica, ACS mette sul tavolo anche un progetto industriale di lungo periodo, in grado di unire le autostrade europee, con concessioni già in Francia, Spagna, Italia e Germania.

Viste le forti relazioni tra i due gruppi e l’acquisizione di Abertis chiusa con successo, ACS ritiene che Aspi sia un asset molto interessante perfettamente coerente con le proprie strategie di lungo termine.

Parte della lettera di ACS per l’interesse su Aspi

Un’offerta certamente più alta rispetto a quella di Cassa Depositi e Prestiti che si ferma a 9,1 miliardi ma dai quali vanno depurati i costi per spese legali che dovessero nascere dall’inchiesta di Genova.

Il primo a parlare è Chris Hohn, manager del fondo Tci, il quale dice:

Acs-Abertis sembra preparato ad offrire un prezzo più alto di Cdp per Aspi ed è chiaramente un partner industriale superiore a Blackstone e Macquarie. Aspi deve essere venduta al miglior offerente senza interferenze da parte del governo italiano.

Chris Hohn del fondo TCI sull’offerta per Aspi da parte di ACS

Atlantia accetta l’offerta di CDP

Il 31 maggio del 2021, a quasi 3 anni dai fatti di Genova e a un anno dall’inizio della trattativa, il consiglio di amministrazione di Atlantia ha accettato l’offerta di Cassa Depositi e Prestiti, per un valore di 9,1 miliardi di euro, ai quali andranno sommati circa 200 milioni per la gestione 2021, fino al passaggio di proprietà, e incentivi per il Covid, che portano il valore del 100% di Aspi a circa 9,5 miliardi.

Alla fine hanno votato a favore l’87% degli aventi diritto, con anche il fondo TCI, che si è allineato alla decisione.

Ad Atlantia, che nel mentre ha de-consolidato i debiti di Aspi, rimane in capo un debito di 4,5 miliardi e incassa 8 miliardi di euro, che potranno essere usati per azzerare le pendenze o per essere investiti altrove.

In conclusione

Una partita a scacchi durata 3 anni che si conclude con i Benetton che dopo oltre 20 anni lasciano la gestione delle autostrade italiane.

L’offerta sottovaluta Aspi, ma allo stesso tempo Atlantia ne esce abbastanza vittoriosa.