Autostrade per l'Italia
Autostrade per l'Italia
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È indubbio che il cambio di guardia al governo possa rappresentare buone notizie per alcune azioni e cattive per altre, in particolare c’è un’azienda che dal cambio della guardia potrebbe trarne beneficio: Atlantia.

Sì, perché la holding dei Benetton è in trattativa oramai da 3 anni con il Governo Conte, per il mezzo di Cassa Depositi e Prestiti, per la cessione dell’asset principale: Autostrade per l’Italia.

La questione di fondo è che l’offerta (8,5 / 9,5 miliardi di euro di valutazione per l’intera Aspi) non incontra la domanda (10 / 12 miliardi di euro per l’intera Aspi) e per questo motivo lo Stato italiano utilizza la revoca della concessione come spettro per ammorbidire la controparte.

In 3 anni di tira e molla sono successe varie cose, ma quella più importante è che la Comunità Europea ha già scritto, poche settimane fa, all’Italia chiedendo lumi sull’operazione, sottolineando come la “minaccia” di revoca per abbassare il prezzo di Aspi sarebbe un’operazione tale da mettere in grave pericolo lo stato di diritto che si ha grazie al contratto di concessione risalente a 13 anni fa.

Nel dettaglio, la Comunità Europea ha messo sotto la lente di ingrandimento il decreto Milleproroghe approvato a fine 2019, nel quale si modifica retroattivamente l’onere per lo Stato in caso di revoca del contratto. Tale operazione è evidentemente contraria a qualsiasi diritto e l’Europa ha chiesto di vederci meglio.

Cosa può fare Draghi?

Mario Draghi, che ha formato il nuovo governo sabato scorso, non vorrà certo mettersi contro l’Europa su un’operazione portata avanti per scopo politico dall’esecutivo precedente.

Per questo motivo probabilmente arriverà a miti consigli, trovando una soluzione che possa essere adatta a tutti gli attori in gioco.

Il fatto stesso che il M5S non abbia messo sul piatto la revoca di Aspi per entrare nel governo la dice lunga, anche per il movimento, sulla voglia di continuare in questa battaglia che ha portato veramente a poco fino a ora.

Certamente, a questo punto, Draghi non può interrompere la trattativa dicendo “abbiamo scherzato” ma probabilmente, da uomo di economia e mercato, riuscirà a dare una corretta valorizzazione all’asset, velocizzando la valutazione e riuscendo a “quagliare” su un’offerta che tarda ad arrivare in modo vincolante e definitiva.

Troppo tardi probabilmente per riuscire già a presentare un’offerta “con la propria firma” alla deadline del 24 febbraio, termine dato da Atlantia per presentare un’offerta adeguata e vincolante, ma ciò non impedisce di inserirsi nella trattativa.

L’ingresso alternativo ed economico nell’azionariato di Aspi

L’alternativa è che lasci presentare a Cdp, nella data del 24 febbraio, un’offerta che rimarca i valori proposti in precedenza (8,5/9 miliardi per l’intera Aspi) con la consapevolezza che Atlantia boccerà l’offerta e procederà a scissione dell’asset con relativa quotazione.

A quel punto si potrebbe immaginare di entrare nell’azionariato di Aspi acquistando le quote dei Benetton direttamente da mercato. Questa potrebbe essere una soluzione che permette all’ala M5S del governo di sottolineare la propria vittoria (la cacciata dei Benetton, anche se pagata), non scontenterebbe nessun azionista di Atlantia (il fondo TCI è sul piede di guerra) e farebbe mantenere le quote ai piccoli azionisti. Infine, con tale operazione, si potrebbe entrare nell’azionariato, da azionista di maggioranza, con una spesa decisamente inferiore rispetto a quella necessaria per prelevare l’intero 88%.

Facendo un po’ di calcoli, valutando Aspi nella parte alta della forchetta richiesta dagli azionisti (12 miliardi), lo Stato per diventare azionista di maggioranza, dovrebbe spendere 3,2 miliardi, contro gli almeno 7,9 (insieme ai fondi BlackRock e Macquarie) da spendere per prendere l’88%.

Il costo viene fuori, come detto, valutando Aspi 12 miliardi (la richiesta massima, che è certamente trattabile), quindi scendendo alla valutazione dell’88% in mano ad Atlantia (10,56 miliardi di valutazione) e andando a spendere solo il 30,25% di questa cifra, che è la quota di Atlantia in mano a Sintonia/Edizione dei Benetton.

In tal caso il fondo TCI, secondo azionista di Atlantia con il 10% di quote, manterrebbe intatto l’investimento calcolabile nell’8,8% di quote Aspi, così come rimarrebbero intatte le quote in Aspi di ogni azionista, grande e piccolo, di Atlantia.