Fusione MPS - Unicredit
Unicredit e MPS potrebbero essere vicine alla fusione

Sulla scia di quanto fatto da Intesa Sanpaolo, che solo un anno prima ha acquistato UBI, Unicredit, guidata da Andrea Orcel, si mette finalmente sulle tracce della preda grossa: Monte dei Paschi di Siena, banca che ha attraversato vari momenti travagliati negli ultimi 10 anni.

Il Ministero delle Economi e Finanze, che possiede il 64% della banca, ha preso precisi accordi con la Comunità Europea nel momento in cui stanziò prestiti ponte alla banca senese: entro il 2021 la banca dovrà passare dalle manu pubbliche alle mani private.

Ecco quindi che la combinata è fatta: Unicredit ha bisogno di ingrandirsi in Italia per tornare a competere con quello che è il più grande istituto di credito del Bel Paese, cioè Intesa Sanpaolo, e lo Stato si libera di un peso di non poco conto.

Dopo la due diligence, durata quasi due mesi, Unicredit ha quindi confermato il proprio interesse in MPS, a patto però che le condizioni messe sul tavolo dal MEF fossero confermate:

  • Deferred tax assets (DTA) di circa 2 miliardi confermato (opzione che scadrà il 31 dicembre)
  • Amco, la società del MEF specializzata in NPL che si farà carico di una parte importante di crediti in sofferenza
  • Parziale (o totale) liberazione di qualsiasi rischio legale che, in attesa delle sentenze, potrebbe arrivare a pesare fino a 6,4 miliardi di euro su chi acquisterà MPS.

Proprio quest’ultimo punto è particolarmente sentito per Unicredit, poiché la banca di Gae Aulenti non ha alcuna intenzione di imbarcarsi in un’operazione scontata sulla carta ma che arriverà a costare vari miliardi quando l’iter giudiziario sarà arrivato a capolinea.

Fusione o scorporo?

Per tutti questi motivi, all’inizio di settembre, finita la due diligence, il quotidiano La Repubblica parlava di scorporo e non di fusione.

Secondo il quotidiano (e indiscrezioni di stampa), Unicredit potrebbe farsi carico del malloppo più grosso di Siena, lasciando però allo Stato (o ad altri player) alcuni asset:

  • Le banche del Sud andrebbero in carico a Mediocredito Centrale (Mcc)
  • Esuberi (dovrebbero essere circa 6.000) su alcuni rami di azienda, come per esempio:
    • Consorzio Operativo: attività informatiche di MPS
    • Mps Capital Services
    • Mps Leasing e Factoring
    • Monte Paschi Fiduciaria
  • Circa 4 miliardi di crediti deteriorati e una quindicina a rischio, che dovrebbero rimanere, come già detto, in capo a Amco
  • I 6,4 miliardi di rischi legali

Così facendo Unicredit acquisirebbe una società quasi pulita (si calcola che in totale lo Stato potrebbe farsi carico fino a 5,7 miliardi di asset non graditi a Unicredit), con vari asset interessanti:

  • Circa la metà di attivi (intorno ai 45/50 miliardi) su 90 di totale
  • Circa 1.000 sportelli sui 1.400 totali di MPS, tutti incentrati tra il nord e il centro del Paese
  • Banca Widiba

In particolare con quest’ultimo asset, Unicredit tornerebbe in possesso di una banca con il cuore online, come fu Fineco, venduta dal predecessore di Orcel, Jean Pierre Mustier.

Cosa succederà agli asset che nessuno vuole?

Innanzitutto rimane da capire cosa succederà ad alcuni asset, qualcuno anche di valore, che da indiscrezioni di stampa non hanno un futuro acquirente. Tra questi certamente quelli più di rilievo sono:

  • MPS-AXA, cioè la joint venture tra la banca senese e l’assicurazione francese, che ha una buona cerchia di clienti ed è un’attività potenzialmente interessante; fermo restando che la controparte francese dovrà accettare un cambio così pesante del socio principale
  • Il marchio MPS, che pare non interessare a Unicredit, e che allo stesso tempo avrebbe poco senso sia per Amco che per MCC.
  • Altri rami d’azienda più piccoli che spesso sono sovrapposti in termini di funzioni rispetto a rami di Unicredit

Inoltre, con lo Stato Italiano che non vorrebbe sforare i 5,7 miliardi messi in campo per la vendita di MPS e con la banca milanese che invece spinge a cifre ben più alte, potrebbero esserci ulteriori asset che verranno lasciati sul campo.

Si è parlato di forme soft di liquidazione, soluzione che però piacerebbe poco all’esecutivo, il quale ha oramai poco tempo per trovare delle soluzioni.

I nodi della fusione

Oltre alle questioni puramente economiche, c’è da sbrogliare anche qualche altro grattacapo, infatti Unicredit ha un accordo vincolante con Amundi per la vendita di prodotti per la gestione patrimoniale, accordo che presenta una data di scadenza al 2026. Di contro MPS ha accordi con la concorrente Anima, per gli stessi prodotti. Quindi, in caso di fusione, bisognerà capire come gestire questi conflitti.

Una possibilità è quella di cedere interi rami d’azienda ad altri player che potrebbero entrare in partita, come per esempio Banco BPM, attuale terzo player in Italia, che con l’ingigantimento di Intesa prima e Unicredit poi sarebbe spiazzata. BPM che comunque potrebbe andare in nozze a BPER, con la regia di Unipol, ma questa è un’altra storia.

I tempi per la fusione

Di base tempo non ce n’è più (anche perché di risiko bancario si discute oramai da molti mesi), ecco perché la maggior parte della stampa pensa si arriverà a un’offerta dopo il cda convocato da Orcel per il 27 ottobre, anticipando quella che era la data naturale per la presentazione del bilancio al 30 settembre.

La verità è che anche il 28 ottobre potrebbe essere tardi, poiché Unicredit dovrà lanciare un’OPA su MPS che è quotata, chiarendo dove finiranno le attività in esubero e incassando il via libera da varie authority italiane (antitrust, Banca d’Italia, ecc) ed europee (BCE su tutte).

Difficilmente si arriverà a una quadra entro il 31 dicembre, quindi con l’incombenza della scadenza dei DTA. Si può ipotizzare che nella legge sulle milleproroghe, a fine anno, lo Stato allunghi questa possibilità per altri 6 mesi, ma probabilmente nessuno vorrà arrivare a questa opzione. Inoltre la Comunità Europea, a fronte di un iter avviato, potrebbe chiudere un occhio sullo sforo delle tempistiche a cui si è impegnato lo Stato Italiano, ma anche qui, non sarebbe un bel risultato per il governo Draghi, che comunque, come sappiamo, in Europa può ancora vantare qualche credito.

Visto tutto ciò potrebbe anche succedere che Unicredit acceleri e presenti un’offerta prima del 27 ottobre, ma il management si assumerebbe un rischio forse troppo grande.

Staremo a vedere, attendendo nuovi sviluppi che verranno raccontati su questa pagina.