Negli ultimi giorni stiamo assistendo a un momento di selloff che sta facendo velocemente ripiegare una serie di titoli, con capitali che vengono “bruciati” di continuo. Cosa sta succedendo?
La risposta non è semplice e va ricercata negli ultimi 10 anni, proviamo quindi a spiegarla, passo dopo passo, facendo anche delle previsioni sul futuro.
La crisi del debito e il Quantitative Easing
Come detto però dobbiamo partire da un po’ lontano: iniziamo quindi con la crisi del debito che a inizi degli anno ’10 colpì varie nazioni, tra cui l’Italia, la quale aveva un debito enorme in rapporto al PIL, tale da portare al rischio di fine dell’Euro. Questa è storia, come è storia il fatto che per salvare i debiti comunitari, la BCE iniettò migliaia di miliardi di euro sotto l’ombrello del Quantitative Easing e con l’indicatore dell’inflazione come parametro principale.
Sappiamo perfettamente che in questi 10 anni l’inflazione non si è mossa e le principali banche centrali del mondo hanno continuato a iniettare liquidità nel mercato. Liquidità che però è arrivata ad attori finanziari i quali hanno investito su titoli e solo in parte nell’economia reale.
Certo i tassi di interesse sui mutui si è mantenuta molto bassa per un lungo periodo e questo ha agevolato l’economia reale, ma rispetto al totale degli investimenti e al monte liquidità mossa è veramente poca cosa.
La corsa alle azioni americane contraendo debito
Con questi presupposti non stupisce quindi che l’inflazione sia rimasta al palo, nel mentre però, il fiume di denaro, è servito per acquistare debito pubblico e azioni, con le aziende americane che hanno approfittato dei bassi tassi di interesse per prendere in prestito denaro da destinare, non a investimenti sul core business, come ci sarebbe aspettato, ma spesso al riacquisto di azioni proprie.
Stessa cosa hanno fatto le grande banche d’affari mondiali: hanno preso grandi quantità di soldi in prestito da destinare all’acquisto di azioni, principalmente in America.
Il risultato è stato che le azioni e le obbligazioni hanno volato in alto e l’inflazione è rimasta al suolo.
Il tutto si è acuito quando, a marzo del 2020, causa Corona Virus, le azioni sono crollane rappresentando degli ottimi investimenti con buonissimi prezzi di ingresso. Si è acuita quindi la differenza tra il valore delle azioni e il valore reale del mercato, con la forbice che si è ampiamente allargata.
Questa situazione è ben sintetizzata dall’indicatore Warren Buffett che mette in rapporto il valore totale della capitalizzazione delle aziende dell’S&P500 con il PIL dello Stato Americano:
In questo momento, come possiamo vedere, siamo a livelli record mai raggiunti. Ciò indica che il valore azionario è troppo distante dall’economia reale.
Già solo questo basterebbe per comprendere il perché di una correzione dei titoli azionari e obbligazionari praticamente in tutto il mondo.
Ma guardiamo, sempre in America, cosa sta succedendo al rapporto tra Prezzo ed EPS:
Come possiamo facilmente vedere, siamo quasi a un livello superato solo una volta.
Gli aiuti per la crisi del Covid
Ma c’è di più, perché dopo l’euforia per i bassi prezzi delle azioni di marzo 2020, il Covid ha avuto un altro impatto, ben più importante, sui consumi e sull’economia reale. Per questo motivo tutte le authority mondiali hanno deciso di stanziare denaro che deve necessariamente raggiungere la popolazione colpita dai lockdown.
Un esempio è il piano Biden che andrà a erogare 1.900 miliardi di dollari di aiuti da destinare alla popolazione e alle aziende colpite dalla crisi. Stesso dicasi del piano Next Generation EU che distribuirà altri 1.824 miliardi di euro che raggiungeranno la popolazione.
Non si tratta di un vero e proprio helicopter money, ma poco ci manca, poiché questi soldi andranno, in gran parte, nelle tasche della popolazione in forma diretta (casse integrazioni, bonus, ecc) e in forma indiretta (con aiuti alle aziende in difficoltà che manterranno posti di lavoro).
L’inflazione aumenterà velocemente
Ovviamente un flusso del denaro del genere avrà un impatto devastante e andrà a toccare direttamente i consumi. L’effetto più importante che probabilmente vedremo nel breve (1 o 2 anni) sarà quello di notare l’innalzamento dell’inflazione poiché maggiori consumi porteranno a maggiore domanda che si rifletterà sui prezzi e quindi sull’inflazione.
E di certo i segnali e gli avvisi stanno arrivando tutti considerando che anche Michael Burry, l’uomo che divenne ricco grazie alla sua previsione per il crollo dei mutui subprime, sta avvisando che in arrivo c’è un’iperinflazione sul modello Weimar.
Ovviamente con una maggiore inflazione reale si avrà un deprezzamento della moneta che quindi farà “costare meno” il debito già emesso, ciò perché probabilmente assisteremo a un aumento del PIL mondiale a “parità” di debito.
L’effetto dell’aumento del PIL sarà maggiore in particolar modo per quelle nazioni che sapranno ben indirizzare il nuovo debito in progetti di investimento che porteranno a maggiori introiti. Senza girarci intorno, parliamo del debito buono (quello che fa aumentare il PIL), da distinguere dal debito cattivo, a cui ha fatto riferimento Mario Draghi non più tardi di qualche mese fa.
Quindi, da un lato abbiamo aziende e investitori che negli ultimi 10 anni hanno tratto vantaggio dall’enorme liquidità messa a loro disposizione, tali entità hanno contratto debiti poiché a tassi bassissimi e oggi hanno dei livelli di debito molto alti.
Dall’altro lato abbiamo un fiume di denaro che entrerà nell’economia reale facendo sì che il PIL cresca e quindi il debito nazionale, in proporzione, diminuisca, inoltre tale denaro porterà a maggiori consumi e maggior inflazione.
Sarà la fine per il QE con inflazione in ripresa?
I più perspicaci avranno già capito dove stiamo andando a parare: un aumento dell’inflazione farà cadere l’unico aggancio che giustifica i QE, questo significa che le banche centrali inizieranno a bloccare (o addirittura a drenare) denaro così da limitare la crescita dell’inflazione in modo da tenerla nel target del 2%. Allo stesso tempo, un innalzamento dell’inflazione farà aumentare anche i tassi reali dei prestiti, quindi molte banche preferiranno liquidare posizioni per restituire il denaro e quindi non ritrovarsi nella condizione di finanziarsi a un costo più alto di quello che è il margine di interesse.
Questo andamento lo stiamo già vedendo, per esempio, nei tassi sui mutui IRS, che regolano i tassi fissi. Se prendiamo, per esempio, il tasso a 15 anni, scopriremo che a marzo del 2020 era intorno allo 0% mentre oggi è al 0,25% con picchi giornalieri che arrivano anche allo 0,30%. Nell’ultima parte dell’anno 2020 l’IRS 15 anni è stato negativo in modo costante e continuativo, a febbraio/marzo del 2021 lo zero è molto lontano. Idem per il 25 anni, che tra settembre e dicembre del 2020 era a zero e oggi è allo 0,40%.
Lo stesso è nei rendimenti delle obbligazioni, se prendiamo come esempio il T Bond americano scopriremo che oggi il rendimento del 10 anni è a 1,58% mentre 1 mese fa era a 1,17% e un anno fa a 0,77%.
Stesso dicasi dei rendimenti del Bund tedesco, con il 10 anni che oggi rende -0,3%, un mese fa -0,44% e un anno fa -0,71%.
Il motivo è semplice, la finanza anticipa l’economia e la tendenza è chiarissima, talmente chiara che laddove è più semplice operare sono già iniziate le operazioni. I grandi gruppi finanziari stanno mollando le zavorre, rimborsano debito o si orientano su quegli asset ancora a buon prezzo.
Ed è anche corretto pensandoci: un T Bond all’1% è un ottimo investimento finché il costo per il finanziamento è più basso dello 0,50%, facendo così arbitraggio; nel momento in cui i tassi di interesse aumentano, si mollano i T Bond e, se proprio non si vuole rimborsare il debito, si acquistano asset più sottovalutati e quindi con buona propensione alla crescita futura.
Su quest’ultimo punto c’è da notare come la “bolla” dell’acquisto di azioni a debito ha “colpito” negli anni più il settore americano di quello europeo. Infatti in America si fa fatica a trovare un’azione che ancora non abbia superato i livelli di prezzo di marzo scorso. In Europa invece è l’esatto opposto: si fatica a trovare delle azioni che abbiano già superato i prezzi del pre-covid.
E anche con questa chiave di lettura si può leggere, per esempio, la debolezza degli ultimi periodi del dollaro e la forza inusuale dell’Euro, con il cambio EUR/USD che è passato molto velocemente dal livello 1,10 su cui ha galleggiato per tutto il 2019/2020 a 1,21 dell’ultimo periodo. Euro che non si rafforza solo in confronto al dollaro ma anche, per esempio, al franco svizzero, tipicamente usato come bene rifugio e che, in presenza di un’espansione possibile dei consumi, tende a perdere valore.
Quali asset sono da evitare?
Qui servirebbe la sfera di cristallo, ma comunque ci proviamo a dare delle indicazioni: in questo contesto sicuramente gli asset che andranno a scendere sono quelle che hanno beneficiato della chiusura per i lockdown, con i tecnologici in testa; non è un caso se il Nasdaq nelle ultime settimane sta precipitando. Al momento sembra ancora una correzione di breve, ma qualora il Nasdaq 100 dovesse rompere il livello di 11.500 mila punti saremmo in una bella inversione di tendenza, quantomeno di medio periodo, con la crescita posticipata di qualche mese.
Attenzione in generale a tutte quelle aziende, soprattutto americane, che hanno una capitalizzazione di molto superiore al patrimonio e/o all’EPS. Tesla che quota 975 volte l’utile non ha più (se mai ne ha avuto) molto senso.
Attenzione anche al debito: un aumento dei tassi di interesse spazzerà via quei bond che oggi garantiscono rendimenti bassi. Se i prestiti e l’inflazione superano il 2% chi acquisterebbe bond che rendono lo 0,5%? E in questa categoria rientrano la quasi totalità dei bond governativi oramai, dopo 10 anni di stimoli.
Cosa comprare?
La ripresa dei consumi renderà attraenti quelle azioni che hanno avuto maggiori problemi a causa del Covid. Immaginiamo per esempio tutte le azioni del settore turistico, dei trasporti e/o crocieristico.
Un ribilanciamento del portafoglio con spostamenti da obbligazioni a bassa resa ad azioni dai buoni fondamentali europei è auspicabile.
Idem dicasi per le azioni americane: gli USA non chiuderanno domani perché manca il denaro, ma probabilmente si andrà in un momento di stagnazione sui prezzi, con mini esplosioni di qualche bolla. Rimanendo in America bisogna puntare su quelle aziende con basso debito e buone prospettive di crescita grazie ai larghi consumi (pensiamo per esempio alle birre grazie alla riapertura dei pub).
In Europa certamente possiamo consigliare il settore auto, che viene da anni particolarmente difficili e che, con la ripresa dell’economia, potrebbe velocemente accelerare.